Corriere 1.6.15
Cosa cambia per Renzi
Si è giocato il mito dell’invincibilità
Nei partiti la resa dei conti. Ma nessuno vuole urne anticipate
Con l’Italicum le forze antisistema potrebbero essere una minaccia per Palazzo Chigi
di Francesco Verderami
È la notte della resa dei conti. Perché tutti, nei partiti, si sono giocati qualcosa: Renzi il mito dell’invincibilità, Berlusconi quello dell’eterno ritorno, il M5S il riscatto, Salvini il primato nel centrodestra, Alfano la rifondazione dei moderati. E al leader pd potrebbe tornare utile una nuova stagione di dialogo.
ROMA È la notte in cui tutti si sono giocati qualcosa: Renzi il mito dell’invincibilità, la sinistra del Pd la sopravvivenza nella «ditta», Berlusconi il mito dell’eterno ritorno, i Cinquestelle il riscatto dall’isolamento nel Palazzo, Salvini la scommessa del primato nel centrodestra, Alfano la rifondazione di un’area moderata. Perciò tutti hanno messo la faccia nella sfida delle Regionali, che il leader del Pd ha condotto creando scientificamente l’aspettativa di un risicato 4-3 nella convinzione di poter far risaltare poi il 6-1. Il risultato in Liguria potrebbe cambiare in modo radicale lo scenario, trasformando in realtà l’incubo del premier: «De Luca prenderà voti in Campania e io li perderò nel resto d’Italia».
A parte il fatto che anche la Campania è in bilico, non c’è dubbio che il test elettorale contava a livello nazionale. Nei partiti, dal Pd a Forza Italia, inizierà le resa dei conti e muterà profondamente la geografia politica. Gli effetti si vedranno — prima che sul territorio — in Parlamento, dove i gruppi di Camera e Senato si scomporranno e ricomporranno, diventando il laboratorio delle future formazioni, il luogo delle ristrutturazioni e degli esperimenti a medio termine, dato che nessuno scommette (e punta) sulla fine anticipata della legislatura.
Tutto avverrà all’ombra del governo di Renzi, che ha vissuto la tornata elettorale con il fastidio di chi riteneva questo passaggio se non una trappola, quanto meno un intralcio al timing che si era dato: «Vinciamo ‘ste c... di Regionali e poi torniamo a lavorare», si era sfogato con il suo staff alla vigilia del voto. È chiaro che i destini del premier non si giocavano a Genova o a Napoli. È a Bruxelles che dovrà vincere la scommessa per puntare a vincere in Italia: economia e immigrazione sono le sfide che lo attendono, e non a caso ha annunciato che in settembre «bisognerà alzerà la voce in Europa».
Ma il voto delle Regionali ha anticipato quel momento, e oltre a raccontare con l’astensione l’ulteriore distacco dei cittadini dalla gestione della cosa pubblica, ha fatto emergere — specie in Liguria — quanto la rottura a sinistra abbia incrinato la forza del premier, consentendo a Berlusconi di assaporare l’idea della rivincita con Toti, per un clamoroso ritorno sulla scena. Come se non bastasse, le forze anti-sistema assediano sempre più la cittadella politica: da un mese Renzi monitorava l’aumento di consensi nei sondaggi dei grillini, oltre che dei leghisti. E se, in vista delle prossime elezioni, queste forze decidessero di sfruttare insieme i meccanismi dell’Italicum, diverrebbero una seria minaccia per Palazzo Chigi.
Il premier ha il tempo per scongiurare l’eventualità, e ha in mente lo schema da portare avanti: avanzamento delle riforme in Parlamento e chiarimento nel partito. Ma il voto di ieri rende tutto molto più complicato. A sinistra come a destra. Le urne in Liguria rappresentano un ostacolo per Salvini, che già oggi voleva presentarsi come leader indiscusso del centrodestra. La vittoria di Toti a Genova intralcerebbe però il suo progetto, perché Forza Italia potrebbe nascondere il suo tracollo di consensi con il successo del suo candidato, e riproporre per lo schieramento luno «schema» di alleanze — che comprende anche Ncd — a trazione moderata e non leghista. Anche se lo spoglio dei voti renderà evidente la forza preponderante di Salvini.
Questo processo nel centrodestra potrebbe avere effetti indiretti sul governo, aprendo un contenzioso con Area popolare, contro cui Berlusconi si è scagliato in campagna elettorale. L’obiettivo evidente è quello di spaccare il partito di Alfano, che è indisponibile a interrompere l’esperienza di governo: prima del voto il leader di Ncd aveva spiegato ai suoi che non ci saranno cambi di strategia «almeno fino al referendum sulle riforme costituzionali». E proprio le riforme rappresentano un tassello determinante nel puzzle politico che tiene insieme gli equilibri di governo, le prospettive degli schieramenti e la durata della legislatura. Che Renzi voglia arrivare fino al 2018 ormai è chiaro. Come ci arriverà, è un’altra storia.