lunedì 1 giugno 2015

La Stampa 1.6.15
Il premier accusa i “masochisti”
Ma pesano impresentabili e scuola
L’effetto-Renzi stavolta non basta per aprire la strada a una vittoria significativa
Bene la riconquista della Campania, allarme per il risultato delle liste Pd
di Fabio Martini


Negli ultimi giorni Matteo Renzi aveva ben mascherato in pubblico uno stato d’ansia interiore iniziato a serpeggiare a metà maggio e ieri sera, apprese in tv le prime proiezioni, il presidente del Consiglio ha capito che stavolta la sua fame di vittoria ha consentito di tenere quasi ovunque (con Liguria e Umbria in forse), di conquistare la Campania, ma non ha fatto la differenza. All’una di notte in altre parole, non sembrava esserci stato “effetto-Renzi” sulle elezioni regionali, dunque niene bis delle Europee di un anno fa. Reduce da una campagna elettorale combattuta in prima linea, il presidente del Consiglio si è trasferito in tarda notte nella sede del Pd al Nazareno - simbolicamente scaricando il governo da ogni onere - ma già prima, poco prima di mezzanotte, ha capito che stavolta non era possibile brindare subito come era capitato un anno fa in occasione delle Europee. Si partiva da un 5-2 e alla fine potrebbe finire con un 5-2, o peggio con un 4-3: una vittoria stretta che, per un vincente come Renzi, potrebbe somiglierebbe ad un pareggio. Tanto più che nel corso della notte, con lo spoglio dei voti di lista, è emerso un dato clamoroso: il Pd, attestato su una media del 23 per cento nelle sette regioni in cui si è votato, avrebbe quasi dimezzato la percentuale rispetto alle Europee di un anno fa. Certo, in alcune regioni, il Pd è stata affiancato da diverse liste civiche, ma il dato - anche se “addolcito” da questo elemento, sarebbe comunque eclatante.
Per due settimane il presidente del Consiglio aveva fatto comizi in ogni angolo del Paese, aveva cavalcato candidati controversi ma potenzialmente vincenti, pur stando attento a non trasformare le Regionali in un referendum sulla sua leadership. Ma ieri sera, quando Bruno Vespa ha letto le prime proiezioni, Renzi a caldo se l’è presa con i gufi, «con i masochisti di sinistra che hanno giocato a farci perdere», con i suoi “nemici” dentro il Pd: Rosy Bindi con la sua lista di “impresentabili” presentata in zona Cesarini, Sergio Cofferati che ha lasciato il Pd, «portandosi dietro il pallone» dopo aver perso le Primarie in Liguria; la minoranza Pd che ha cavalcato tutte le tigri, pur di mettere in difficoltà Renzi, dal no alla legge elettorale fino alla protesta degli insegnanti..
Certo, nelle ultime settimane e soprattutto nelle ultime ore Renzi ci aveva messo la faccia, rivendicando e cavalcando i candidati-governatore più controversi, soprattutto Vincenzo De Luca. Una campagna elettorale che - senza trasformarsi in un vero e proprio referendum sul premier e mantenendo uno specifico locale - è stata segnata da una forte presenza del presidente del Consiglio.
È personalmente andato in tutte le Regioni nelle quali si votava (eccetto che in Puglia), in diversi comuni in questo modo “chiamando” un “effetto Renzi”. Certo, quando il presidente-segretario ha capito che stavolta non si sarebbe replicata la “valanga” delle Europee, ha iniziato a frenare. Arrivando a dire che «anche un 4-3» sarebbe andato bene e nelle ultime ore Renzi ha detto che quello delle Regionali non era un voto sul governo. Dichiarazioni difensive di chi aveva colto in giro per l’Italia le difficoltà. Al di là dei tanti anatemi contro i “gufi”, nella analisi informale e non propagandistica di palazzo Chigi, sono due gli elementi che hanno condizionato il voto. La protesta e poi lo sciopero compatto degli insegnanti contro la “buona scuola” e la polemica sugli impresentabili. Certo, a 48 ore dal voto è arrivato il pubblico “anatema” di Rosy Bindi ma la polemica durava da almeno 15 giorni. E dunque nelle analisi a caldo che si fanno nell’entourage del premier, si tende ad attribuire un effetto-impresentabili paradossalmente più nelle altre regioni che sulla Campania.