lunedì 1 giugno 2015

Corriere 1.6.15
Incognite e ricadute di un voto
di Massimo Franco


La diserzione dalle urne era prevista, a conferma che nessun partito sembra ancora in grado di trascinare l’Italia al voto: compreso il Movimento 5 Stelle. E certamente le elezioni regionali non erano il richiamo più attraente per invertire la tendenza. Rimane da vedere se da questo nuovo crollo della partecipazione il governo uscirà più o meno indenne. Il sogno del sei a uno, che ieri notte sembrava a portata di mano, alla fine si è ingarbugliato. È stato sciupato da un’incertezza palpabile sull’esito in Liguria, perfino in Umbria e forse in Campania: a conferma che l’astensionismo e le divisioni fanno saltare qualunque previsione.
È un’ombra, quella ligure, in grado di trasformare il risultato del partito di Matteo Renzi in una nuova guerra di logoramento con la minoranza interna. Riproporrebbe due fantasmi in un colpo solo: quello di un Movimento 5 Stelle sempre forte e in grado di erodere voti anche a sinistra; e di una lista degli avversari renziani del Pd determinati a dimostrare che non è sempre un vincente. Per quanto locali, le elezioni di ieri dovevano consentire al premier di puntellarsi e di brandire il risultato come una clava da usare contro quanti hanno scommesso su un risultato ambiguo.
I l partito di Renzi ha fatto e disfatto la campagna elettorale. Ed è al suo interno, dunque, che bisogna aspettarsi contraccolpi: anche perché il suo calo rispetto alle europee del 2014 è vistoso. Il prezzo pagato è stato di immagine, di tensioni. Ma anche di voti. Ha pesato un sabotaggio elettorale, a volte larvato, altre esplicito. Ed è difficile pensare che quanto è accaduto rimarrà senza conseguenze traumatiche: soprattutto per il voto ligure.
Era previsto anche il ridimensionamento non solo del centrodestra ma di Forza Italia. E l’impressione è che il grande serbatoio delle astensioni contenga anche la frustrazione e il disorientamento dell’elettorato di Silvio Berlusconi. La sua crisi ha portato con sé quella della coalizione che fino a quattro anni fa dominava l’Italia. Il successo scontato in Veneto non smentisce questa analisi. Anzi, essendo un trionfo trainato dovunque da una Lega in ascesa, drammatizza la competizione per la guida di uno schieramento tutto da reinventare.
Eppure, aritmeticamente FI più Lega rimangono l’alternativa al blocco renziano. Il risultato in Liguria e in Umbria ridanno ossigeno all’idea che un centrodestra unito dia filo da torcere alla strategia del premier. Ma questo non può cancellare l’aspetto più eclatante delle regionali: quasi metà dell’elettorato non è andato a votare. Significa che tutti i partiti sono immersi nella crisi. M5S e Lega la ri-flettono crescendo, eppure nemmeno loro sono in grado di risolverla. Gli altri debbono chiedersi come possono fermare una deriva che radicalizza l’Italia. E rischia di rallentare la corsa del governo e delle riforme.