lunedì 1 giugno 2015

La Stampa 1.6.15
Adesso per Renzi governare è più difficile
di Marcello Sorgi


Ci sono tre vincitori: Renzi, Salvini e Grillo. Ma per il premier è tutt’altro che il trionfo dell’anno scorso: la fatica della Paita in Liguria e l’insuccesso della Moretti in Veneto dimostrano che anche la sinistra del Pd a suo modo ha superato la sfida. Il consenso raccolto da Pastorino, candidato di Cofferati e Civati, e il distacco del governatore Zaia sulla sua sfidante, colpita dall’invito all’astensionismo della Cgil, stanno a significare che senza i suoi elettori più radicali il Pd rischia. Monito da tener presente, sia che si arrivi alla scissione, dato lo stato dei rapporti tra maggioranza e minoranza del partito alla vigilia del voto, dopo l’esplosione del caso Bindi-De Luca, sia che si trovi il modo di rattoppare, con urgente bisogno di ricostruire una convivenza tra i due tronconi del partito che ormai sembrano separati in casa.
A ciò vanno aggiunte la sorpresa dell’Umbria, con la volata del sindaco di Assisi Ricci candidato governatore di centrodestra in una delle tradizionali regioni rosse, che bisognerà abituarsi a non considerare più tale. E la complicazione del dopo-vittoria di De Luca, che potrebbe essere sospeso in forza della legge Severino, e al quale, sia detto per inciso, l’inserimento nella lista degli impresentabili ha solo giovato, portandolo a raccogliere più voti di quelli delle liste che lo sostenevano.
Salvini è il secondo vincitore, non solo perché ha riconquistato il Veneto come previsto, ma anche per il notevole risultato del suo candidato in Toscana (ma anche al centro e al sud non gli è andata male), e per il fatto che quasi ovunque la Lega ha superato Forza Italia, quando non l’ha doppiata, conquistando sul campo il ruolo di nuovo leader del centrodestra, se vorrà tornare unito, o di serio competitor solitario in una prossima tornata nazionale. Nella quale, come si sa, si voterebbe con l’Italicum e per entrare in ballottaggio il leader del Carroccio dovrebbe vedersela con Grillo, più forte in termini di voti e al momento più piazzato per giocare lo spareggio finale con Renzi, ma soccombente, invece, nell’ipotesi, al momento improbabile, che Salvini possa guidare un’eventuale nuova lista unica di tutto il centrodestra.
Come nel 2013, però, il primo partito torna ad essere il Movimento 5 stelle, che solo un anno fa aveva preso la metà dei voti del Pd, provocando un attacco di gastrite a Grillo. Si dirà che M5s ha beneficiato di una campagna elettorale in cui tutti i suoi avversari sembravano alleati per spingere gli elettori incerti verso la trincea grillina. Ma questo non basta a spiegare un risultato che non può essere più archiviato come voto di protesta, dato che è diventato strutturale e che il movimento, a modo suo, sta costruendo la sua nuova classe dirigente e si prepara alla prossima occasione a proporre un candidato-premier, diverso da Grillo e più giovane di Renzi, come Di Maio, anche in questo caso pronto al ballottaggio.
Resta da dire di Berlusconi e Alfano. Il primo può consolarsi con Toti e con la Liguria, ma la percentuale nazionale di Forza Italia è sconfortante e la ricostruzione del centrodestra, se ci sarà, non potrà certo averlo come regista. Altrimenti non gli resta che rinegoziare con Renzi il patto del Nazareno, in attesa di tempi migliori. Il secondo vede ridimensionata la scommessa di investire sull’eredità centrista e dovrà rassegnarsi, anche lui, a fare i conti con Salvini e il successo elettorale della sua niente affatto moderata predicazione anti-immigrati e anti-Europa.
Il governo Renzi rimane senza alternative, ma la resa dei conti che si prepara nel Pd influirà necessariamente sulla sua stabilità e sull’andamento delle riforme in Parlamento, a cominciare da quelle del Senato e della scuola, che la minoranza del Pd immagina come terreno per una rivincita. Infine, con un risultato così, e con una legislatura nata asfittica e condannata ad essere sempre più traballante, va messo in conto che diventerà più forte per Renzi la tentazione di accorciare i tempi e tentare la rivincita in una nuova tornata di elezioni politiche anticipate, anche se si tratterebbe di nuovo di sfidare l’andata di astensione che ha coinvolto, purtroppo anche stavolta, metà degli elettori.