venerdì 19 giugno 2015

Corriere 19.6.15
Ma dietro la manifestazione tante ragioni strumentali
di Alberto Melloni


L’ enciclica Laudato si’ definisce il creato la «casa comune» di un’unica famiglia umana. Una famiglia oggi minacciata da una lacerazione devastante, di cui sono icona i «poveri cristi» sugli scogli di Ventimiglia, guardati con disumani occhi da chi li giudica colpevoli d’esser poveri, neri e di non essere annegati.
Non la pensa così un pezzo di cattolicesimo militante che sabato s’aduna a piazza San Giovanni a Roma, davanti alla cattedrale del Papa. Sono, quei cattolici, convinti che la famiglia sotto attacco sia quella di «mamme e papà»: che il magistero ecclesiastico un tempo chiamava «sposi» se uniti dal sacramento o «pubblici concubini» se sposati in municipio. Adesso anche questi ultimi, «scandalosi» conviventi appaiono ai difensori della famiglia «tradizionale» come un baluardo: ma la mentalità che ne denunciava l’immoralità è rimasta. Come se l’inevitabile mutare dei costumi chiamasse la Chiesa a battersi nell’arena della legislazione e non a battersi il petto leggendo il Vangelo.
L’appuntamento di piazza non ha trovato tutti entusiasti e sarà accolto con favore da un segmento forse non enorme, ma smemorato e politicamente orientato. Quello, cioè, di chi dimentica che se non ci fosse stato nel 2007 il «Family day» — Ruini in testa, Renzi in piazza, i movimenti in fila, Prodi alla berlina — una legge sulle unioni l’Italia l’avrebbe da tempo: da prima che le persone omosessuali si convincessero che l’eguaglianza — a cui hanno sacrosanto diritto nella vita e nell’amore — è garantita solo dalla possibilità di contrarre un matrimonio che viene loro ancora negato (e da quella di rinunziarvi quando lo avranno, come oggi fanno gli eterosessuali). Chi oggi si straccia le vesti per il disegno di legge Cirinnà dovrebbe ricordare quel momento. Almeno per essere credibile quando chiede di ragionare sul rischio, tutt’altro che astratto, che la comunità omosessuale si spacchi fra gay ricchi in grado di affittare, a pagamento, uteri per avere figli e gay poveri cui questa operazione non sarà possibile.
Coloro che si ritroveranno in piazza, emulando la lacerante e irrilevante mobilitazione francese contro il « mariage pour tous » o agitando lo spauracchio di una tirannia del gender ( che però uno come il sacerdote e filosofo austriaco Ivan Illich riteneva teologicamente rilevante), si muovono inoltre con un tempismo tutto politico. Vogliono cioè pressare il centrodestra italiano, che si sta ora risvegliando da uno stato di confusione, e mettere in mora un credito che la Chiesa ha offerto agli ultimi tre governi di larghe intese, di cui fu maieuta l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Vogliono, inoltre, incidere sull’azione parlamentare come se non ci fosse la carta di Nizza, che per l’Italia ha rango fondamentale, a stabilire che l’orientamento sessuale non può essere causa di discriminazione alcuna. Chi imbastisce una operazione come questa è disposto a certificare l’impotenza del cattolicesimo davanti al dovere morale della mediazione democratica, ma forse incasserà qualcosa allo sportello di destra della politica.
Nulla che abbia a che fare con la«bellezza della diversità» che monsignor Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, invoca per dire la differenza fra l’amore dell’uomo e della donna e quello di due persone dello stesso sesso. Nulla di quel «dialogo con chi la pensa diversamente» che perfino Comunione e liberazione ha invocato per spiegare la sua dissociazione dalla manifestazione.
Un gioco politico, dunque. Che però ha anche un lato di vita interna alla Chiesa: ché vuol anche aggredire il Papa e i suoi uomini, accusati di non tener viva la polemica sulle questioni etiche, per dedicarsi a questioni per loro secondarie come misericordia, povertà, pace, perdono. Monsignor Galantino, qualche mese fa, disse che «un cristiano che si mette contro qualcosa o qualcuno già sbaglia». Sembrava un ammonimento generico, invece vedeva lungo.