giovedì 18 giugno 2015

Corriere 18.6.15
La scienza è un percorso narrativo
E la letteratura si ciba di scoperte
Fritjof Capra, Massimo Inguscio e Telmo Pievani spiegano il legame tra discipline
di Ida Bozzi


Ne scrisse con rara chiarezza Giorgio de Santillana nel suo volume epocale, Il mulino di Amleto (Adelphi): non c’è mito antico dietro il quale non si nasconda un’interpretazione della natura, si tratti dei viaggi di Gilgamesh negli inferi o, per restare in un ambito più familiare, della caduta di Lucifero (astronomicamente individuabile come Venere, la sua caduta rappresenterebbe l’inclinazione dell’eclittica). Gran parte delle teogonie arcaiche è densa di miti che alludono ad eventi cosmologici, astronomici, climatici, geologici delle origini del tempo umano: il mito, la leggenda, il racconto illustravano la scienza dell’epoca, la «teoria del mondo» di migliaia di anni fa.
Il legame tra la letteratura — poesia, narrativa, favola, racconto orale — e la scienza è dunque sempre stato molto forte: uno dei più bei poemi dell’antichità, in epoca storica, è il De rerum natura di Lucrezio, in cui poesia e scienza si accordano «cantando» il sapere sugli elementi della natura, in modo perfetto e straordinariamente moderno, che un fisico atomico contemporaneo può leggere incantato.
«Io mi occupo di atomi — ci racconta Massimo Inguscio, ordinario di Fisica della materia all’Università di Firenze, cofondatore del Lens, presidente dell’Istituto nazionale di ricerca metrologica e accademico dei Lincei —, seguo il loro movimento e cerco di «fermarli», per dirla con semplicità. E mi ritrovo completamente in ciò che Lucrezio nel De rerum natura diceva della struttura della materia 2.000 anni fa. Un grande poeta intuisce molto della natura del mondo, e il rapporto tra poesia, letteratura e scienza è e deve essere splendido, un arricchimento totale».
A proposito di grande scrittura scientifica, anche il fisico Fritjof Capra, docente a Berkeley, autore di Il Tao della fisica e del saggio La scienza della vita (che uscirà nella collana «La scienza come un romanzo» il 25 giugno con il «Corriere») ci risponde raccontandoci le meraviglie delle letture scientifiche: «La qualità letteraria della scrittura scientifica — spiega Capra — diventa rilevante quando lo scienziato riesce a rivolgersi ai lettori al di là della propria disciplina particolare. Più fluente è la scrittura, più accattivante la narrazione, e più efficacia avrà nel trasmettere idee astratte a un vasto pubblico. Un famoso esempio storico è il Dialogo sui massimi sistemi di Galileo, del 1632, che è stato considerato un capolavoro letterario, scritto in italiano e non in latino come era consuetudine per i libri accademici dell’epoca». E aggiunge, sul piano personale: «Nel mio modo di scrivere poi ho sicuramente beneficiato del fatto che mia madre era una poetessa e drammaturga, e che sono cresciuto in una famiglia di letterati».
Ma come si scrive un buon libro di scienza? Risponde Capra: «Due questioni sono importanti. Per spiegare concetti scientifici al pubblico, bisogna mostrare la loro evoluzione all’interno di un particolare contesto storico, e le loro relazioni con i concetti e le idee in altri campi (filosofia, arte, ecc.). Questo non è facile, perché richiede un approccio multidisciplinare, anche quando si scrive di una scienza particolare. Io stesso ho seguito questo approccio in molti libri, come ne Il Tao della fisica ».
Gli esempi di chi è riuscito a raccontare felicemente le proprie o altrui scoperte scientifiche sono numerosi: Galileo, Darwin, ma anche Newton, e tra i contemporanei Hawking, lo stesso Capra, Oliver Sacks, Singh, e molti altri. La scienza è bella da leggere, e la letteratura è spesso ispirata dalla scienza, aggiunge Telmo Pievani, docente di Filosofia delle Scienze biologiche e titolare dell’insegnamento di Antropologia all’Università di Padova, nonché esperto di teoria dell’evoluzione. «Anch’io mi ritrovo con Calvino (che citava la Ortese) — spiega il filosofo — nel definire lo scienziato Galileo, che ha fondato la scienza moderna, come il più grande scrittore italiano. Galileo s’inventa i dialoghi, crea personaggi, la sua rivoluzione scientifica la mette in scena. E poi c’è Charles Darwin, che raccoglie prove della sua grande teoria e decide di raccontarla non come un saggio specialistico, ma come una narrazione, e così crea quel romanzo della natura che è L’origine delle specie. Ma è vero anche il contrario: l eggiamo Leopardi o Swift, leggiamo il Frankenstein di Mary Shelley, e troviamo la scienza: la letteratura alta, la grande letteratura (oltre a quella di genere) si ciba di temi scientifici».
Ma c’è anche un altro elemento da tenere presente. Ed è un elemento formale importante, che deriva da una caratteristica della scienza contemporanea. «La scienza oggi — osserva a tal proposito Pievani — studia la letteratura per imparare a spiegare se stessa. Lo vediamo nei libri a carattere divulgativo: è importante per uno scienziato la resa letteraria e narrativa della scrittura scientifica». Il motivo non sta tanto nel fatto che un saggio ben scritto — come qualsiasi libro meritevole — può ottenere successo presso il pubblico, ma sta in un’altra questione che tocca la natura della scienza contemporanea.
«Le scienze — conclude il filosofo ed evoluzionista — sono diventate discipline storiche, cioè dotate di una dimensione storica per rendere la quale occorre utilizzare la tecnica narrativa. La stessa scoperta scientifica non può essere raccontata come un puro e semplice fatto (ad esempio, il risultato x è il prodotto dell’esperimento y), perché la scienza medesima è un processo . E un processo è narrativo . Quindi diventa naturale che alimenti la letteratura: è già una storia, una vicenda, di per sé».