giovedì 18 giugno 2015

Corriere 18.6.15
Se l’Europa diventa «Eurabia» inerme sotto i colpi della jihad
La denuncia di Vittorio Feltri sui guasti dell’ideologia multiculturale
di Giulio Giorello


D icevano i maligni che il filosofo materialista Thomas Hobbes, il quale di giorno si beffava delle «anime disincarnate», di notte si rannicchiasse sotto le coperte, temendo che i fantasmi venissero a tirarlo per i piedi. Scherzosamente (ma non troppo) Vittorio Feltri confessa il suo timore di qualche visitazione notturna da parte dello spettro di Oriana Fallaci, che lo rimprovererebbe di non essere troppo deciso nel battersi contro la «Eurabia» cioè contro la nostra resa, intellettuale prima ancora che militare, all’islam fondamentalista. Feltri sceglie di obbedirle, decidendo di combattere usando... la paura.
Nel suo ultimo libro (intitolato appunto Non abbiamo abbastanza paura. Noi e l’islam , Mondadori, pp. 116, e 17) cita uno dei tanti volontari pronti a morire (e a uccidere) per il Califfato: per lui paura è parola vuota, poiché si sente «uno strumento» del volere divino. E invece per Feltri dobbiamo aver paura non solo degli islamici della guerra santa, «ma anche dell’idiozia tutta nostra che li ha istruiti per farci del male». Non ridursi mai a strumento: Feltri spera che sia questo sentimento a risvegliare l’Occidente. Proprio come nel 1588 (l’anno di nascita di Hobbes!) era stato il Grande Terrore a spingere i sudditi della regina d’Inghilterra, Elisabetta I, a resistere alla «Invincibile» Armata spagnola. Oggi i nuovi aggressori non esitano a impugnare i kalashnikov: per loro «si tratta di islamizzare la modernità, non di modernizzare l’Islam». Feltri conclude: «Se non avremo abbastanza paura, alla fine ci lasceremo invadere, convinti di cavarcela: siamo italiani, siamo furbi».
Questo libro è dunque un sasso gettato nello stagno del conformismo di «noi» e di «loro». Non tutto il mondo islamico è totalitario come lo è chi ci fa guerra. Ammette l’autore che «ci sono musulmani, i quali propugnano, come il generale al Sisi, una rivoluzione dell’Islam» e arrivano «ad augurarsi l’avvento di un Martin Lutero arabo». D’altra parte, Italia, Europa e Stati Uniti non sono compatti nel combattere il totalitarismo religioso. Ed è facile che chi invita ad avere «abbastanza» paura per ritornare al coraggio venga tacciato di «islamofobia» da parte degli esponenti della «correttezza politica»: il prezzo a suo tempo pagato da Oriana Fallaci per aver scelto di «essere tra quelli che muoiono senza avere mai avuto sulla fronte il marchio della servitù».
Feltri polemizza contro coloro che, in nome del «multiculturalismo», sono disposti a cancellare le nostre tradizioni, a cominciare da quelle cristiane. Anche se — bisogna dirlo — il politicamente corretto se la prende persino con Ovidio; a quando la condanna dell’Eschilo dei Persiani , reo di aver celebrato le vittorie navali dei greci contro gli invasori guidati da Serse?
Feltri ha ragione quando indica «l’idiozia tutta nostra» come l’alleata migliore degli islamici totalitari; e quando se la prende con chi minaccia di abbattere le nostre chiese. Ai tempi di Hitler non pochi simpatizzanti per il nazismo si dichiaravano convinti che presto il Reich avrebbe disfatto quegli inglesi «per cui contava solo il tè delle 5». Oggi potrebbero accusarci di privilegiare la Coca-Cola, per non dire delle esecrate bevande alcoliche! E invece si dimenticano che gli inglesi di Churchill, come quelli di Elisabetta I, seppero vittoriosamente reagire all’aggressione.
Non dobbiamo perdere le nostre memorie: sono d’accordo con Feltri che ciò sarebbe l’inizio della resa. Ma poiché nemmeno io voglio una qualsiasi sottomissione, ritengo che non si debba cadere vittime della tirannide di una qualsiasi tradizione contro le altre, che il pluralismo anti superstizioso degli Illuministi sia l’esatto contrario del multiculturalismo dei politicamente corretti, che quella che è detta sovranità del consumatore (nessuno è miglior giudice di me per quanto riguarda la mia salute fisica e spirituale) sia non solo l’antidoto del consumismo, ma anche la nemica implacabile di qualsiasi imposizione ideologica o religiosa.
Voglio anch’io, che mi sento ateo, ma non «ateo triste» come di sé confessa Feltri, tenermi le chiese cristiane «con i rintocchi delle loro campane»; ma voglio pure la moschea di Cordoba con libero accesso per i credenti di qualsiasi fede e per i non credenti. È una richiesta esagerata? Può darsi, ma la libertà, che i fanatici di tutte le risme vorrebbero toglierci, nasce sempre da una qualche forma di esagerazione.