Corriere 16.5.15
Un risultato che esaspera i problemi del governo
di Massimo Franco
I lividi elettorali si sommano ad un’emergenza dell’immigrazione che si sta drammatizzando. E pongono al governo e al Pd un problema che non è solo di gestione di una crisi scaricata cinicamente dall’Europa sull’Italia, Francia in testa. Per quanto le elezioni locali non possano essere paragonate al voto politico nazionale, qualche dubbio sugli effetti della riforma dell’Italicum comincia a spuntare. L’idea di un Matteo Renzi che vince da solo deve fare i conti con percentuali più prosaiche dopo il trionfo alle europee del 2014; e con avversari che sanno stringere alleanze.
Tra il 31 maggio, data delle regionali, ed i ballottaggi di ieri, non è solo scomparsa la prospettiva di un «partito della Nazione» a guida renziana. Si è anche dissolta la strategia di una conquista dei consensi moderati, in olimpica solitudine. A guardare bene, il modello dell’ Italicum , col premio alla lista e non alla coalizione, assecondava questa ambizione. Prefigurava un Pd così forte da non avere bisogno di alleati ma di satelliti; e un Parlamento nel quale una Camera legata a filo doppio con palazzo Chigi rendeva il Senato un residuo irrilevante del bicameralismo.
Il quadro, di colpo, sta cambiando. Il presidente del Senato, Pietro Grasso, rivendica «il ruolo di garanzia» di palazzo Madama come «essenziale»: una presa di posizione che forse qualche mese fa non sarebbe stata così netta. E nel Pd si chiede un’analisi «vera» della sconfitta. D’altronde, l’onda lunga del governo si è infranta contro un esito nel quale i fattori locali non possono spiegare per intero il risultato deludente per il Pd. C’è «disaffezione degli elettori», osserva l’economista Fabrizio Barca alludendo all’astensione. E palazzo Chigi si ritrova impantanato nello scandalo di Mafia Capitale e nella gestione dell’accoglienza agli immigrati.
Sono due temi per i quali non si può certo puntare il dito contro Renzi, perché non li ha provocati lui. Ma vengono fatti ricadere inevitabilmente sul suo esecutivo: tanto più nel momento in cui il premier cerca di arginare i contraccolpi e condividere le responsabilità con altri.Forza Italia, che cala verticalmente ma si sente ancora in gioco, comincia a ipotizzare che il governo «non resisterà a lungo». «Il vento è cambiato», dice Silvio Berlusconi. «La poltrona di Renzi traballa», annuisce il capo leghista Matteo Salvini. In realtà, il problema di una crisi non è alle viste: ad essere palpabile è il logoramento del governo, figlio di uno schema andato in frantumi.
Le ironie avversarie sul «piano B» di Renzi sugli immigrati sono feroci.Vengono favorite sia dal cinico «no» francese ad aprire le frontiere ai migranti a Ventimiglia; sia dalla risposta dell’Ue, che si dice all’oscuro dei progetti italiani. Il presidente del Consiglio avverte che «i toni muscolari» usati da Parigi «non giovano»; e che se l’Ue latita, l’Italia farà da sola. Ma non ci sono soluzioni rapide, né facili. E Salvini incalza: «Renzi scopre che cosa è l’Europa. Straordinario. È un anno che lo diciamo prendendoci solo insulti». Non solo insulti ma anche voti, in realtà, perché, osserva il premier, fare campagna elettorale così porta facili consensi. Il problema è come usarli senza acuire una tensione sociale che andrebbe governata e non fomentata.