martedì 16 giugno 2015

Corriere 16.6.15
«Basta mediare. Io tornerò a fare Renzi»
Il bilancio del premier: c’è chi mi vorrebbe spianare, a Venezia la sinistra ha perso
di Maria Teresa Meli


ROMA «La sintesi è questa: abbiamo perso dove ci siamo fermati a mediare. Adesso Renzi deve tornare a fare Renzi». Pensare che il premier torni indietro dopo quello che lui stesso ha definito «un insuccesso» significherebbe non conoscere bene di che pasta è fatto il presidente del Consiglio.
«So — dice il premier — che c’è gente che vorrebbe spianarmi e vorrebbe approfittare di queste Amministrative per farlo, ma mi dispiace per loro, vinceremo anche questa battaglia».
Eppure la situazione è quanto mai delicata e Renzi lo sa bene. Basti pensare alla questione della scuola al Senato. È sufficiente che il governo vada sotto in Commissione per rendergli impossibile il giochetto di mettere la fiducia in Aula e sveltire la pratica. «Sarebbero dei pazzi irresponsabili — ripete il premier ai collaboratori — se la riforma viene rinviata ci saranno centomila persone che non verranno assunte a settembre per colpa della minoranza del Partito democratico, e grazie anche al sindacato, bella vittoria per loro».
Renzi non sembra scoraggiarsi. Anche se i suoi avversari dentro e fuori il Partito democratico sono pronti a scommettere che dopo le elezioni amministrative, con un doppio turno che ha penalizzato il centrosinistra, «sarà costretto a cambiare l’Italicum». Il bersaniano Gotor e il berlusconiano Minzolini sono i più accesi sostenitori di questa tesi. «Cambiarlo? Non ci penso nemmeno», ha spiegato lui a tutti i parlamentari che ieri glielo hanno chiesto.
Il presidente del Consiglio continua a ritenere che «Forza Italia non tirerà la corda», a «meno che non voglia finire sotto Salvini». Insomma, sembra essere sicuro che il primo a garantirgli in qualche modo i numeri al Senato sarà proprio Silvio Berlusconi, perché l’immagine dell’ex Cavaliere che si acconcia all’idea di fare il numero due del leader leghista non gli sembra proprio verosimile.
E, del resto, «anche la minoranza interna», è il ragionamento che va facendo il presidente del Consiglio con i fedelissimi a Palazzo Chigi, «deve stare molto cauta, perché a questo giro non possono sottovalutare il risultato di queste elezioni: loro hanno perso». Il riferimento è a Felice Casson, il candidato che già nel 2005 si era scontrato contro Cacciari per la poltrona di sindaco ed era stato sconfitto. Ma anche a Mirello Crisafulli, battuto ad Enna, a cui Renzi, alle Amministrative, ha negato il simbolo del partito.
Morale della favola, il premier è convinto, anche se non lo dice ad alta voce e lo sussurra solo nelle orecchie dei più fidati collaboratori che «non ci sono alternative» al suo governo. A meno che qualcuno «non preferisca andare a votare».
Il che, precisa Renzi, «sarebbe da irresponsabili», da «politici che pensano solo a loro stessi e non al bene del Paese che gradualmente si sta riprendendo».
Ma, è il ragionamento che fa l’inquilino di Palazzo Chigi con i suoi, «se quelli che vogliono spianarmi pensano che questa sia la strada, allora...».
Allora che? «Allora se andassimo alle elezioni anticipate oggi io vincerei a mani basse. Basta guardare i dati generali per capirlo e non fissarsi su questa o quella vittoria o sconfitta. Anzi dirò che ogni tanto mi prende quasi la voglia di sfidare gente come Matteo Salvini o Beppe Grillo alle urne, però poi mi trattengo perché so quale deve essere il mio ruolo, il fatto è che, a quanto pare, gli altri leader politici non sanno quale debba essere il loro e pensano che si debba stare in campagna elettorale permanente, accada quel che accada, tanto del Paese chi se ne frega».
Il premier, con i fedelissimi a Palazzo Chigi, passa in rassegna tutte le possibilità: «Che possono fare? — ironizza —. Abbattermi e mettere su un governo Salvini-Bersani-Brunetta e Grillo? Forse nemmeno in quel caso avrebbero i numeri. E, comunque, nel Partito democratico la maggioranza assoluta l’ho io. In direzione e nei gruppi parlamentari».
Come a dire: la minoranza pd può abbaiare, persino mordere, ma non è in grado di costruire nessuna alternativa e non tornerà mai più a tenere in mano le chiavi della «ditta».