Corriere 16.6.15
Ora la sinistra riapre il fronte Italicum. Le primarie in discussione
La minoranza si interroga sul doppio incarico del leader
di Monica Guerzoni
ROMA L’epicentro della scossa è Venezia. Ma il terremoto che investe il Pd attraversa l’Italia intera fino alla Sicilia, colpisce duro in Toscana e scatena la «grande paura». Al Nazareno minimizzano, ma la minoranza avverte che un partito diviso e litigioso lascia a casa i suoi stessi elettori e che l’Italicum, fortissimamente voluto da Renzi, potrebbe rivelarsi un boomerang per il Pd.
La sberla di Venezia brucia, al punto che il bersaniano Davide Zoggia parla di «sconfitta epocale» e vede profilarsi una «questione meridionale grande come una casa». La débacle di Arezzo interroga i fedelissimi di Renzi e il «cappotto» siciliano dei cinquestelle genera altra inquietudine. «Serve una riflessione seria», è l’invocazione di Rosy Bindi.
In questo quadro di confusione e sbandamento, le tensioni si riaccendono, rischiando tra l’altro di inasprire lo scontro con l’ala sinistra sulla scuola. Sulla linea Nazareno-Palazzo Chigi si studiano le contromosse. C’è da mettere a punto le scelte del governo sul fronte dell’immigrazione e del fisco e c’è da riformare il partito.
Debora Serracchiani fa autocritica: «A causa della difficoltà di controllare alcuni territori e di scelte che gli elettori non hanno compreso abbiamo subìto sconfitte anche pesanti, che ci spingono a reagire». La vice di Renzi ammette che a Roma il partito ha «molte responsabilità» e conferma l’urgenza di riformare le primarie: «Dobbiamo dire dei no. Non possono essere una resa dei conti, né lo strumento a cui ci si affida quando non si è in grado di fare una scelta».
Umori che suggeriscono alla minoranza la tentazione di buttare nel campo di Renzi la mina del doppio incarico: può il capo del governo essere al tempo stesso segretario, senza trascurare il Pd? Zoggia ricorda il mantra di Bersani: «Se fosse andato a Palazzo Chigi, avrebbe immediatamente lasciato la guida del Nazareno. Il partito ha bisogno di una attenzione fortissima, il che non vuol dire indebolire il premier, ma ricostruire una forte presenza sul partito». La minoranza si prepara a chiedere al leader di rinunciare alla guida del Pd? «Data la situazione — risponde Zoggia — la commissione Statuto dovrebbe aprire una riflessione». Su Venezia è il momento delle accuse incrociate e delle recriminazioni. I renziani rimproverano a Casson di aver provato a trasformarsi in un candidato civico, rifiutando il supporto dei «big» del partito. «Il suicidio perfetto», secondo Massimo Cacciari. E se Guerini non brinda, anche la minoranza non stappa bottiglie e però sprona Renzi a cambiare. «Abbiamo fatto campagna pancia a terra e certo non festeggiamo» assicura Roberto Speranza, che al segretario chiede un bagno di umiltà: «Renzi dovrebbe capire la differenza tra essere preoccupati ed essere “gufi”. Non facciamo gli struzzi». Metafore ornitologiche per dire che la sinistra è stufa di prendere bastonate: «Perché attaccarci continuamente invece di dialogare? È sconcertante affermare che dove si perde è colpa nostra. Quando c’è un pezzo di Pd che pensa di uscire dal partito bisogna interrogarsi...».
Il tema della scissione riaffiora e Stefano Fassina legge Venezia come la certificazione «che una parte del popolo Pd ha rotto con il partito». Si litiga sulla scuola, perché la minoranza vuole cambiamenti sostanziosi al Senato.
«L’exit strategy» di Corradino Mineo è sganciare le assunzioni dal resto della riforma: «Ero convinto che Renzi andasse a sbattere, ma non così presto... L’avevo detto a Matteo che il partito della nazione si sarebbe squagliato ai ballottaggi». E si rischia qualche fibrillazione anche nella Giunta del Senato, che dovrà decidere sull’arresto di Antonio Azzollini (Ncd).
La sinistra spera che l’esito infelice delle Comunali convinca il premier a ripensare la legge elettorale. Per il bersaniano Federico Fornaro, il Pd ha mostrato «l’incapacità di attrarre nuovi consensi al ballottaggio», un limite che con l’Italicum rischierebbe «di produrre effetti devastanti per il Pd».
Qualche maldipancia potrebbe affiorare anche oggi, quando Renzi proporrà al gruppo della Camera il nome di Ettore Rosato come presidente: grazie alle sue qualità di mediatore, il vicecapogruppo vicario dovrebbe farcela. E ancora: Enzo Amendola, l’ex dalemiano responsabile Esteri del Pd, andrà alla Farnesina al posto del viceministro Lapo Pistelli, il quale ha lasciato il governo (tra le polemiche) per andare all’Eni, con un ruolo da top manager. Il suo scranno a Montecitorio passerà a un transfuga del Pd, Andrea Maestri.