martedì 16 giugno 2015

Corriere 16.6.15
A ottocento anni dalla concessione dell’habeas corpus in Inghilterra ci si chiede se davvero la democrazia iniziò in quel momento
Magna Charta Il primo diritto o l’ultimo dei privilegi?
di Raffaella De Santis


Tra celebrazioni e discussioni, ieri si sono festeggiati gli ottocento anni della Magna Charta. Il documento che il re inglese Giovanni Senzaterra fu costretto a concedere ai nobili, fu firmato a Runnymede, lungo il Tamigi, il 15 giugno del 1215. Era la prima volta che il sovrano limitava il proprio potere assoluto e per questo quell’atto viene considerato come il momento in cui nasce il costituzionalismo inglese. Il fatto che quel patto venga modificato molte volte nei tempi successivi non fa che attestare la sua importanza.
Da qualche giorno la stampa anglosassone non parla d’altro. Sul Tamigi sono state organizzate parate e sono arrivate decine di telecamere a riprendere la regina Elisabetta e il premier David Cameron. La British Library ha inaugurato una grande esposizione, e perfino Google ieri celebrava sulla homepage l’evento con un doodle animato. Ma tra gli storici le opinioni divergono. Tutto ruota intorno a una domanda: la Magna Charta è davvero il documento fondativo delle nostre libertà democratiche e costituzionali? A tanti secoli di distanza la questione è aperta. Con quel documento il re assicurava ai baroni che non potevano essere catturati, torturati, sbattuti in prigione indiscriminatamente. In poche parole non potevano essere spossessati dei loro diritti, né violati nella loro integrità fisica. Stefano Rodotà che da anni si occupa dei diritti della persona spiega: «È chiaro che la Magna Charta non è una concessione di diritti a tutti i cittadini ma solo ad alcune categorie, come ecclesiastici e nobili. Ma ha una simbolicità innegabile, soprattutto per quanto riguarda l’articolo trentanove, in cui è introdotto l’Habeas corpus, a garanzia del corpo e dei diritti della persona ». Quell’articolo dice: «Non metteremo le mani su di te. Per questo fu uno strumento importante della limitazione del potere».
Nel corso degli anni, la Magna Charta è chiamata in causa ogni volta che ci sono lotte per la libertà degli individui. C’è una Magna Charta dietro Oliver Cromwell, una che attraversa l’oceano e arriva ad animare la rivoluzione americana, una Magna Charta dietro le lotte per l’indipendenza di Gandhi e di quelle di Nelson Mandela. Claire Breary, a capo dei manoscritti medievali della British Library ha detto: «È diventata un simbolo di libertà e di diritti, è nota in tutto il mondo come il testo che difende da qualunque tirannia». Dunque, sebbene vada inscritta nel quadro di una giurisprudenza feudale, la Magna Charta Libertatum è stata interpretata come il documento che pone le basi per il riconoscimento universale dei diritti dell’uomo e del cittadino.
Non tutti però sono d’accordo. Tra gli studiosi c’è chi considera certi toni esageratamente celebrativi. «In realtà si tratta solo del risultato di una lotta interna alle élite per i loro privilegi », ha scritto sul New York Times Tom Ginsburg, professore di diritto internazionale a Chicago. E Carlo Galli, filosofo politico, chiarisce: «La Magna Charta non è altro che una delle tante forme di pattuizione che nel Medioevo intercorrono tra monarchi e nobili, i quali ottengono che il re non possa chiedere loro aiuti economici senza prima averli consultati. Tutte le altre valutazioni sono costruzioni ideologiche posteriori, narrazioni, invenzioni ideate nel XVI e XVII secolo e portate avanti nell’Ottocento. Dire che si fonda sui diritti umani uguali per tutti è come dire che Giulio Cesare andava in bicicletta. Ma così l’Inghilterra ha costruito il suo mito politico». Quindi, non dobbiamo considerare la democrazia occidentale come figlia della Magna Charta? «La nostra democrazia si fonda sulla rivoluzione francese e sulla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino, in cui il potere appartiene a tutto il popolo». In un articolo sul
New Yorker , Jill Lepore, docente di storia ad Harvard, ha scrit- to che «l’importanza della Magna Charta è stata sopravvalutata e il suo significato distorto ». Per uno storico del diritto penale antico attento a questi temi come Adriano Prosperi è invece proprio da questo documento che prende vita il parlamentarismo, attraverso la nascita delle prime assemblee dei baroni ed è lì che si pone la «questione decisiva della protezione dei diritti della persona». Il problema è semmai un altro: il modo in cui noi occidentali siamo riusciti a dimenticare i sacri principi di quella Charta. Dice Prosperi: «In nome del terrorismo come nemico assoluto ha prevalso il principio dell’efficacia. Viviamo ormai in uno stato d’eccezione permanente che erode ogni diritto». Il tema è infinito e nell’era di Internet si complica. «Oggi avremo bisogno di proteggere il nostro corpo elettronico», dice Rodotà, che sta coordinando la commissione parlamentare per la “Dichiarazione dei diritti di Internet”. Il prossimo passaggio sarà la nascita dell’Habeas Data.