Repubblica 16.6.15
Zhou Yongkang,ex capo della sicurezza,è stato condannato all’ergastolo per corruzione:ma la vera pena è stata apparire in pubblico senza la chioma tinta di nero
Cina,la gogna del capello bianco
di Giampaolo Visetti
PECHINO NELLA civiltà che antepone l’apparenza all’esistenza, la pena estrema arriva dalla super-potenza che già ha equiparato l’oblio ad un decesso. La Cina lancia la condanna ad apparire come realmente si è e mobilita la propaganda per avvertire i traditori del partito che non potranno più fingere pubblicamente di essere come non sono.
Il simbolo della nuova purga globale dell’immagine è Zhou Yongkang, fino a un anno e mezzo fa capo della sicurezza nazionale, tra i nove «intoccabili » del partito comunista. Giovedì scorso le autorità hanno ufficializzato che il braccio destro dell’ex presidente Hu Jintao è stato condannato all’ergastolo per corruzione, abuso di potere e rivelazione di segreti di Stato.
Zhou Yongkang ha 73 anni, ma fino al giorno dell’arresto dimostrava vent’anni di meno: fisico tonico, lifting accurato, ma soprattutto folti capelli neri impeccabilmente laccati all’indietro. Il processo si è tenuto a porte chiuse, ma la tivù di Stato hanno diffuso le immagini del capo della polizia degradato, impegnato a leggere la propria confessione.
Per i cinesi è stato uno shock. Zhou Yongkang, rispetto all’uomo arrestato e scomparso nell’ottobre 2013, è apparso irriconoscibile. Spalle curve, una divisa cadente e capelli completamente bianchi, capaci di trasformare il maturo playboy, sicuro dell’arroganza conferita da un potere assoluto, in un povero vecchio, incerto nella propria condizione di suddito sconfitto. La gente ha esultato per la condanna del funzionario rosso, presentato come l’icona della corruzione.
L’ebbrezza per l’esibizione dell’odiato trofeo ha però ceduto presto il passo al turbamento collettivo per l’umiliazione ideata dal presidente Xi Jinping. La pena più crudele fatta scontare a Zhou Yongkang, accreditato di focosi flirts con giovani e famose attrici, non era il carcere a vita e neppure la confisca di un tesoro da 14,5 miliardi di dollari. La spietatezza della leadership era esporlo in pubblico con capelli bianchi e la carne del volto flaccida, simile ad un anziano qualsiasi, sprovvisto dei mezzi per assicurarsi l’immagine di un’eterna giovinezza.
Messaggio chiaro: in Cina un aspetto curato è oggi un privilegio concesso solo a chi è nelle grazie del «nuovo Mao». I vincenti possono tingersi i capelli di nero e provare a dimostrare vent’anni di meno, gli sconfitti devono accettare la propria chioma bianca e il profilo che rispecchia gli urti dell’età. Il colore dei capelli è assurto a certificato di fedeltà, o di appartenenza, all’autoritarismo della Città Proibita: già una sfumatura di grigio può essere ora interpretata come l’anticamera dell’epurazione. Con la rivoluzione di Mao i cinesi hanno scoperto la cosmesi, eleggendo la tintura a riscatto dalla povertà della campagna. Confucio è stato sepolto assieme alla lunga barba color neve, al culto della saggezza è seguito quello per la ricchezza e per un’idea occidentale di bellezza, presupposto e prova del successo. Questo look accomuna oggi tutta l’Asia: donne e uomini esibiscono capelli color pece dalla culla alla tomba, a meno di insostenibili tracolli economici, o politici. Anche Xi Jinping, come tutti i vecchi dirigenti comunisti, non esibisce un solo capello lasciato al riflesso naturale e dove non arriva la tintura arriva la parrucca. Come una divisa, o un inequivocabile segno di riconoscimento.
Fino a due anni fa, caduta del «neo-maoista» Bo Xilai, il vezzo obbligatorio era concesso per l’eternità. Con la gogna pubblica del capello bianco, ordinata per Zhou Yongkang, Pechino inaugura il sogno della giovinezza come premio a termine, proporzionale all’obbedienza, o all’onestà. Lo sceriffo- bandito che ha osato discutere l’ascesa dell’ultimo imperatore, ha perso come tutti libertà e bottino, ma come nessun altro prima anche la pubblica bellezza. Dalla bandiera rossa al colletto bianco, fino al capello nero.
La pena di morte, per la Cina che si appresta a dominare il mondo, era ormai impresentabile: adesso basta la condanna ad uno shampoo.