Corriere 15.6.15
La miopia che può fare di Atene la Lehman Brothers d’Europa
Il rischio che la Grecia possa uscire dall’euro è sempre più alto
I mercati sembrano convinti però che, anche nel peggiore degli scenari, la Bce eviterà contagi
Ma la crisi del 2008 insegna che la politica monetaria non può, da sola, evitare conseguenze pericolose per l’economia reale
di Lorenzo Bini Smaghi
O gni giorno che passa senza che l’Europa riesca a concludere un accordo con la Grecia fa aumentare il rischio di uscita di quel Paese dall’euro. I mercati finanziari, e molti osservatori, non sembrano tuttavia preoccuparsene, convinti che alla fine un accordo si troverà o che, nel peggiore dei casi, la Banca centrale europea (Bce) scenderà in campo per evitare il contagio agli altri Paesi. Eppure la tesi secondo cui la politica monetaria può riuscire, da sola, ad evitare gli effetti collaterali delle crisi sui mercati finanziari e sull’economia reale si è dimostrata errata in passato, non ultimo dopo il fallimento della Lehman brothers nel settembre 2008. Lo sarebbe anche nel caso post-Grexit, per vari motivi.
In primo luogo, la politica del Quantitative easing avviata dalla Bce all’inizio di quest’anno ha contribuito a ridurre i tassi d’interesse e gli spread , ma non può evitare eventuali rimbalzi, anche ingenti, come quello che si è verificato sul mercato dei titoli di Stato europei nelle ultime settimane. Di fronte a nuove turbolenze, provocate in particolare dall’uscita dalla Grecia dall’euro, la Bce potrebbe accelerare il ritmo di acquisto dei titoli, attualmente pari a 60 miliardi al mese per l’insieme dell’area. Ma il vincolo della ripartizione geografica del programma di acquisto tra i titoli dei diversi Paesi e quello mirato ad evitare che la Bce detenga più del 33 per cento del debito di ciascun Paese può rappresentare un limite alla portata dell’operazione.
L’istituto di Francoforte potrebbe far ricorso ad un altro strumento di politica monetaria, l’Omt ( Outright Monetary Transaction ), annunciato nel settembre 2012 per difendere i Paesi membri dal rischio di uscita. Ci si dimentica tuttavia troppo spesso che la Bce ha chiaramente indicato che questo intervento può essere effettuato solo nei confronti dei Paesi che si sottopongono ad un programma di aggiustamento con le istituzioni europee. Questa condizione è politicamente impegnativa, visto che la Spagna, il Portogallo e l’Irlanda sono già usciti dai rispettivi programmi di risanamento e che Cipro intende farlo entro la fine dell’anno, mentre altri Paesi — incluso il nostro — hanno sempre sostenuto di non volervi far ricorso ad alcun costo.
La Bce potrebbe decidere di intervenire in modo ancor più flessibile e proattivo, anche con nuovi strumenti, per contrastare tensioni eccezionali sui mercati finanziari. Tuttavia, l’esperienza dimostra che difficilmente ciò può avvenire senza una copertura politica a livello europeo, che dia un chiaro segnale di forte rafforzamento istituzionale dell’Unione.
Nel Maggio 2010 la Bce decise di intervenire in acquisto di titoli di Stato greci, portoghesi e irlandesi solo dopo l’annuncio della creazione del Fondo salva Stati. Nell’estate 2012 l’Omt fu adottato solo dopo la decisione del Consiglio europeo di dar vita all’unione bancaria.
Sono circolate, nei giorni scorsi, varie proposte, incluse quelle di alcuni Paesi membri, per rafforzare le istituzioni politiche europee e consolidare l’unione monetaria. Queste proposte non sembrano tuttavia sufficientemente ambiziose da indurre la Bce ad assumersi da sola il rischio di intervenire in un contesto politico incompleto. Ci vuole ben altro per convincere gli operatori di mercato, e i cittadini dei vari Paesi, che il caso greco è una eccezione, che non si ripeterà più.
Sono necessarie ulteriori misure di mutualizzazione dei rischi — come una assicurazione comune dei depositi bancari e un fondo di risoluzione bancario più ampio e pronto ad agire — oltre ad ulteriori cessioni di sovranità in campo fiscale, per consolidare l’irrevocabilità della moneta unica. Ma è difficile che le autorità nazionali si privino dei loro poteri e accettino, senza esservi spinte, ulteriori iniziative di integrazione.
La storia rischia così di ripetersi. La sottostima dei problemi, e la speranza che siano altri a risolverli fa rimandare le decisioni più difficili, fin quando non scoppia una crisi, con ripercussioni impreviste, che mette le istituzioni politiche nazionali con le spalle al muro. Solo in quelle condizioni capiscono che è venuto il momento di condividere la sovranità. Come diceva Jean Monnet, «l’Europa si farà attraverso le crisi, e sarà costituita dalla sommatoria delle soluzioni che saranno date a queste crisi». La frequenza con cui devono avvenire le crisi in Europa per far proseguire il processo di integrazione appare tuttavia eccessiva.