venerdì 8 maggio 2015

Repubblica 8.5.15
L’Europa, i migranti e l’insegnamento di Schuman
di Andrea Manzella


SE POTRÀ contare su un rafforzamento dei suoi mezzi, l’Europa sarà in grado di realizzare uno dei suoi compiti essenziali: lo sviluppo del continente africano». La “dichiarazione Schuman” del 9 maggio 1950, l’avvio del processo di integrazione europea, è un testo asciutto. Non è un catalogo di problemi. È la rigorosa prescrizione di un metodo. «L’Europa non potrà farsi in una sola volta. Essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino innanzitutto solidarietà di fatto».
Ecco, in un documento, che spunta quella frase sul vincolo di responsabilità dell’Europa verso l’Africa. Quasi un “fuori tema”. Sessantacinque anni dopo, con i mille naufragi nel Canale di Sicilia, possiamo capire che quel “compito essenziale” era interamente “dentro” il tema del destino d’Europa. E misurare tutta la modernità della “dichiarazione Schuman”. La stessa insuperata modernità che caratterizza ancora oggi il suo metodo. Quello di avanzare attraverso sperimentazioni concrete, passo dopo passo, “con sforzi creativi proporzionali ai pericoli”.
La storia della difficile integrazione è tutta qui. Ogni Trattato ha aperto un nuovo ciclo: non con invenzioni, ma attraverso il consolidamento dell’”acquisito”. Ogni Trattato ha però rispecchiato una diversa concezione di “unità” di Europa, secondo i vincoli politici del suo tempo. Si sono quindi succedute e sovrapposte tre diverse idee di “unità dell’Unione”. In primo luogo, l’unità come “omogeneità” di discipline e di valori: essa ha avuto il suo simbolo giuridico nella cittadinanza europea, il suo culmine economico nella moneta unica, il suo segno identitario nella Carta dei diritti fondamentali. L’unità, poi, fondata sulla “differenziazione”: che ha avuto la sua massima nei protocolli di Lisbona sul governo ”dal basso” e sul ruolo europeo dei parlamenti nazionali. L’unità, infine, fondata sulla ”effettività”, cioè sui risultati che l’Unione produce per i suoi cittadini.
È questa unità che la “Lunga Crisi” ha messo in pericolo. Nell’eurozona, una sorta di dissipazione delle energie unitarie ha reso insopportabile la lentezza e la parzialità dei risultati. C’è stato, certo, un affollarsi di rimedi contro l’emergenza, di concreti strumenti cooperativi che, per la loro audacia, sarebbero stati impensabili prima della crisi. Ma si avverte anche l’oggettivo disordine di questo armamentario. Soprattutto a causa di una scissione tra regole e istituzioni. Da un lato la Banca centrale che fa tutto quello che le è possibile anche al di fuori di “metodi convenzionali”. Dall’altro lato, regole di buona condotta economica senza istituzionalizzazione: affidate alle mutevoli esecuzioni dei governi nazionali.
Nasce da questa incertezza di governo la seduzione populista di un ritorno ad un passato immaginario, di “quando eravamo soli”. Come se fuori (e anche dentro) l’Europa non fosse avvenuto l’irrompere di una globalizzazione senza leggi. Contro cui solo una comunità politica vasta e coesa nella volontà di agire come “insieme sovrano” può opporre una credibile barriera. Ma perché questo sia possibile è ancora valido il ritorno allo “statuto” di Robert Schuman: fare delespressione l’eurozona un “nucleo concreto” con regole e istituzioni proprie. Che significa? Significa legare assieme, in una “cooperazione permanente strutturata” quanto di “solidarietà di fatto” si è già realizzato nell’eurozona, dal meccanismo di assistenza per la stabilità finanziaria degli Stati all’Unione bancaria. Tutti fatti acquisiti che devono però essere vincolati tra loro e razionalizzati in un legame di governo che ne valorizzi le potenzialità. Certo, questa” cooperazione rafforzata” implica, ancora una volta, un passo indietro nella “sovranità giuridica” degli stati dell’eurozona. Ma sarà anche finalmente un passo in avanti nella loro sovranità “sociale”, se diventeranno co-protagonisti di nuova, effettiva politica economica. Si introdurrà così “il fermento di una comunità più profonda”: così come c’è anche scritto in quel testo base di 65 anni fa, da dove l’Unione cominciò.