venerdì 8 maggio 2015

Repubblica 8.5.15
Senato, il governo è appeso a un filo
La sinistra Pd è decisiva per la riforma costituzionale, ma finora giudica insufficienti le aperture del premier
La maggioranza ha solo 4-5 voti di scarto, a meno che non arrivino soccorsi da verdiniani e fittiani
di Goffredo De Marchis


ROMA Al Senato mancano i voti. Si è al limite tutti i giorni e su tutti i provvedimenti. Sarà così, a maggior ragione, al momento di votare la riforma costituzionale. Anche perché per le leggi di modifica della Carta non basta la maggioranza relativa. Serve quella assoluta: 161 senatori sui 320 aventi diritto. Per questo il governo continua a mandare segnali di apertura, soprattutto alla minoranza del Partito democratico. «Discutiamo di tutto», dicono a Palazzo Chigi, senza entrare nel dettaglio. Il ministro Boschi ha accennato al modello Bundesrat, in un’intervista al Corriere . Una forma elettiva dei consiglieri regionali. Ma la risposta dei dissidenti è decisamente negativa. «Dov’è l’apertura? In Germania c’è il proporzionale e poi il maggioritario per la Camera dei Laender. Qui avremmo due maggioritari. Non va bene», avverte il bersaniano Miguel Gotor.
Matteo Renzi la prende da lontano ma i timori di un inciampo sono grandi. La maggioranza di governo alla Camera contava 400 deputati, 85 più del quorum. A Palazzo Madama invece l’esecutivo combatte sul filo di 4-5 voti e la minoranza del Pd conta 24 dissidenti che hanno già disertato il voto sull’Italicum. Ecco perché l’apertura del premier può diventare inevitabile. «A meno che non decida di rivolgersi direttamente a Verdini e ai suoi senatori. Lo scopriremo presto».
È una mossa che non pochi nella sinistra dem attendono per “impiccare” Renzi all’accusa di voler creare un partito indistinto, il partito della Nazione che snatura il Pd. Persino l’ipotesi di un’accelerazione sul conflitto d’interessi viene letta da due punti di vista diversi. Un segnale ai ribelli democratici su un tema molto caro all’elettorato più a sinistra, cioè alla base potenziale di una nuova Cosa rossa. E un messaggio nemmeno tanto subliminale agli spezzoni di una Forza Italia già esplosa. Se Verdini e Raffaele Fitto vogliono dare il colpo di grazia al Cavaliere e conquistarsi un posto al sole, hanno o avrebbero nella norma sull’incompatibilità uno strumento prezioso. Comunque il premier si ritroverà presto davanti a un bivio se è vero che la riforma costituzionale arriverà in aula alla fine di giugno. «Se vuole stare col Pd - dice Gotor - sa che la riforma deva cambiare, tanto più con questo Italicum. Tecnicamente sono possibili molti cambiamenti ma la decisione è solo politica. Deve prenderla Renzi». Il gruppo dei dissidenti al Se- nato sembra molto più compatto di quello della Camera. E sa di essere decisivo. «Ma vi immaginate i consiglieri regionali della Campania designati per fare i senatori - sottolinea Gotor -. Con le liste fatte da De Luca che Saviano definisce vicine a Gomorra? Si mettono intorno a un tavolo e dicono: io mi occupo di Asl, tu di fondi pubblici e tu vai al Senato perché c’è l’immunità parlamentare».
Parole durissime, ma che possono cambiare in caso d’intesa tra minoranza e premier. Altrimenti il “Vietnam” per la riforma è più vicino e non ci sarà nemmeno bisogno dei grupi parlamentari autonomi a cui lavora Pippo Civati. I senatori Pd dissidenti possono tranquillamente fare la loro battaglia rimanendo nel loro gruppo. Decisivi, per entrambi i fronti, saranno i risultati delle regionali. Li aspettano sia Renzi sia i ribelli per definire le strategie i termini di un’eventuale trattativa.