venerdì 8 maggio 2015

Il Sole 8.5.15
Il potere dei presidi. Il rischio di una mediazione al ribasso
Due cardini: responsabilità e valutazione
di Claudio Tucci


Oggi il dirigente scolastico «non ha potere di incentivazione». Non può neanche individuare «i professori più adatti per rafforzare l’offerta formativa a favore degli studenti». E sul fronte disciplinare, nei casi di gravi violazioni, «può al massimo irrogare una sospensione fino a 10 giorni», e per di più al termine di un procedimento amministrativo piuttosto complesso.
Insomma, dal 2000, da quando è entrata in vigore l’autonomia scolastica, «il potere di gestione sfugge alla piena titolarità del dirigente», spiega al Sole24Ore il numero uno dell’Anp, l’Associazione nazionale presidi, Giorgio Rembado: «Ma la governance della scuola è divisa tra più soggetti, il consiglio di istituto, il collegio dei docenti, il comitato di valutazione del servizio, e quindi, alla fine, in caso di scelte sbagliate, non si sa chi ne debba rispondere. E infatti non ne risponde nessuno».
Il Ddl «Buona Scuola», nella sua versione iniziale, innovava profondamente la situazione, «facendo finalmente chiarezza - aggiunge Rembado - nel distinguere che i poteri di indirizzo sono in capo al consiglio di istituto, quelli sull’attività didattica appartengono al collegio docenti, e quelli più prettamente gestionali sono affidati al preside, bilanciandoli con una valutazione più rigorosa del suo operato».
In queste ore, però, dopo le proteste dei sindacati, il governo vuole rimettere tutto in discussione, «con una mediazione che si annuncia al ribasso», e torna a confondere compiti e funzioni, ricreando una commistione tra poteri di indirizzo e responsabilità dirigenziali: «Un passo indietro insostenibile - afferma Rembado - soprattutto perché in tutta l’orbita pubblica, dal 1992 ai tempi della riforma Cassese, i due poteri sono tenuti ben distinti. Nella scuola, purtroppo, ancora no, nonostante da più parti, con l’arrivo dell’autonomia, si ritengano non più idonei gli organi collegiali istituiti nel lontano 1974». Il punto è dirimente: in tutt’Europa responsabilità e valutazione dei dirigenti scolastici sono principi consolidati. Nel mondo anglosassone, per esempio, i dirigenti hanno tutti i poteri gestionali, e sono valutati periodicamente. Un cedimento su questi aspetti «sarebbe francamente inspiegabile, e per di più dagli effetti paradossali - evidenzia Rembado -. Da un lato, infatti, ogni decisione del dirigente dovrà essere assunta concordandola con il collegio docenti e il consiglio d’istituto. Ma poi, dall’altro, si vuole valutare solo il dirigente. E così si finirà per punire il preside per scelte condizionate da altri soggetti che sono esentati da giudizi su decisioni gestionali che hanno però contribuito a far assumere».
Del resto, la valutazione non spaventa i presidi: «È fondamentale - osserva Rembado - e deve diventare un punto centrale della retribuzione». Il giudizio sull’operato del dirigente dovrà essere rigoroso, incentrato sui risultati ottenuti, e può essere importante pure per l’attribuzione dei successivi incarichi di direzione. Attenzione, però: «Non si potrà chiedere a un preside di tornare a fare il docente all’esaurimento del mandato - avverte il numero uno dell’Anp -. Professori e dirigenti infatti sono due ruoli diversi, e tali debbono restare perchè richiedono competenze e formazione differenti».