Repubblica 4.5.15
La maggioranza non più silenziosa
di Stefano Folli
I MILANESI che ripuliscono i muri imbrattati dagli ottusi devastatori con il Rolex al polso. I milanesi che sfilano in modo civile.
RIEMPIENDO vie e piazze, per marcare il loro rifiuto della violenza. È una scena che ne richiama altre del nostro passato. Un tempo si chiamava «maggioranza silenziosa » e, si diceva, era un fenomeno di destra. Un fenomeno che rimandava a sua volta all’esempio primario, la grande sfilata gollista sui Campi Elisi, che nel ‘68 pose fine al maggio parigino.
Altri tempi, altre situazioni. I “black bloc” di oggi non rappresentano nessuno, pur essendo una pericolosa minaccia. La destra italiana è spappolata e semmai è il “partito della nazione” di Renzi che tende a identificarsi con i milanesi in strada. La domanda è appunto questa: sta nascendo davvero un partito e un leader in grado di dar voce alla volontà di ripresa del paese? Oppure gli incendi e le distruzioni di Milano sono il simbolo negativo di una caduta senza fine, di un corto circuito che la retorica politica e le promesse povere di contenuto non sono in grado di frenare?
Oggi la riforma elettorale, il famoso Italicum, sarà approvata in via definitiva. Sulla carta è ancora possibile un clamoroso colpo di scena nel voto a scrutinio segreto. Ma sarebbe necessaria una falange di “franchi tiratori” della minoranza del Pd, senza alcun apporto uguale e contrario dal centrodestra (o da settori dei Cinque Stelle) in soccorso a Renzi. È improbabile. Ieri Enrico Letta ha annunciato il suo voto contrario, fatto significativo per un ex presidente del Consiglio. Non è solo la testimonianza amara di un uomo che sta abbandonando la politica: è anche un messaggio insidioso rivolto al premier. Tuttavia Letta al momento non ha un seguito importante e i tempi della sua rivincita, se rivincita sarà, si annunciano lunghi.
Il costituzionalista Stefano Ceccanti ritiene che l’Italicum avrà l’effetto di disarticolare i populismi. In altri termini, metterà il Pd al centro della scena e costringerà i populisti a confrontarsi con la realtà, perdendo la gara. Qualcosa di simile sta accadendo in Spagna con le difficoltà di Podemos. Altri costituzionalisti e politologi la pensano in modo opposto. Oltre a quelli citati ieri da Eugenio Scalfari, c’è ad esempio Gianfranco Pasquino, nemico della prima ora dell’Italicum. Ma al di là delle critiche, spesso fondate, il punto politico è quello toccato da Ceccanti. La riforma elettorale è destinata a sgominare la deriva populista o invece ad accreditarla, rendendola più rischiosa per le istituzioni?
Nella Francia del ‘68 la maggioranza silenziosa si ritrovò nella cornice di istituzioni forti (il generale De Gaulle sarebbe uscito di scena di lì a poco), con il conforto di un eccellente sistema elettorale a doppio turno di collegio. Come tale, alquanto diverso dall’Italicum. Nell’Italia degli Anni di piombo, la maggioranza degli italiani si appoggiò alla Dc, con il sostegno dei repubblicani, e il Pci, come è noto, chiuse la porta alle infiltrazioni brigatiste. Oggi Renzi ha plasmato con l’Italicum un poderoso strumento di potere personale, ma deve dimostrare di saperlo usare. E soprattutto deve convincere gli italiani che è lui l’uomo giusto per mantenere l’ordine nelle piazze e restaurare l’autorità statale.
Con la consueta lucidità, Emanuele Macaluso ha annotato su Facebook: «è stato detto che cinquecento black bloc si sono infilati nel corteo (500, non 50 o 5)... Ma se ci si può introdurre con facilità in un corteo, come mai la polizia non ha pensato di infilarci una cinquantina di agenti, magari vestiti alla maniera dei black bloc, in modo da consentire ai colleghi di intervenire tempestivamente? Il fatto che su 500 eversori ne siano stati arrestati appena 6 è il meno peggio?». Sono interrogativi politici difficili da eludere. I “quattro teppistelli” evocati da Renzi richiamano in realtà una questione assai più grave. E la riforma elettorale, che da stasera sarà legge dopo la straordinaria insistenza esercitata dal premier, non potrà servire solo a coprire il «meno peggio» nella vita pubblica.