lunedì 4 maggio 2015

Repubblica 4.5.15
“Risorse nelle mani di pochi più giustizia per battere la crisi”
di Eugenio Occorsio


ECONOMISTA William Easterly: si è formato al Mit di Boston È docente di Economia dello sviluppo alla New York University

«L’HO letto il servizio del Wall Street Journal sull’ oversupply, l’eccesso di riserve di materie prime e perfino di denaro che ci sarebbe in giro per il mondo. Non sono d’accordo: andatelo a dire alle popolazioni del Togo o del Congo dove si muore di fame e di malattie che ci sono troppe risorse in giro». Non è la prima volta che William Easterly, economista formatosi al Mit, docente alla New York University, è in disaccordo con il mainstream del pensiero economico. Proverbiali i suoi scontri verbali con Jeffrey Sachs, guru degli aiuti ai Paesi in via di sviluppo, che lui accusa di favorire la dissipazione delle ricchezze. «I soldi vanno a dittatori spregiudicati o a eserciti aggressivi e non alla gente». Di Easterly, Laterza ha appena pubblicato “La tirannia degli esperti” sull’approccio tecnocratico che non si cura del riscatto dalla povertà. E l’ha invitato al Festival dell’Economia di Trento, che Laterza organizza e di cui è coordinatore Tito Boeri, dove Easterly terrà una conferenza il 1° giugno.
Per difendere i colleghi del Wsj, una lettura non potrebbe essere: è irritante che queste risorse non vengano valorizzate per lo sviluppo quando è così scarsa la crescita?
«Intanto molti prezzi delle commodities sono bassi per un gioco di speculazioni che non ha nulla a che vedere con la domanda ma solo con le ipervalutazioni del passato. E poi c’è un problema sottostante: le diseguaglianze nei Paesi industrializzati e non, crescono in modo vergognoso. In America un capo azienda guadagna 300 volte più del dipendente. Quarant’anni fa erano 30 volte. Inoltre crescenti fasce di popolazione vengono escluse dai processi decisionali. Il Wsj scrive della bassa crescita: ma la ripresa per partire deve puntare alle re-inclusione delle moltitudini e al ripristino dell’ascensore sociale. Altrimenti avremo sempre più casi Baltimora e Ferguson».
Insomma è vero che in teoria i beni da investire, denaro compreso, ci sarebbero ma non si riesce a mobilitarli?
«Quando si parla di flussi finanziari, è sempre una questione di organizzazione. Noi al Development research institute della Nyu studiamo gli aiuti allo sviluppo. Sono spesi malissimo. Il governo etiope, per dirne una, incassò gli aiuti e con essi finanziò nuovi villaggi dove trapiantò certe popolazioni sostenendo che così erano vicine alle strade per andare a scuola e lavorare. Poi però i terreni pregiati lasciati liberi li vendette agli speculatori. I Paesi ricchi è vero che come dice Bernanke trattengono il denaro: però lo elargiscono per opportunità politica. Il problema parte da lontano: nel 1949 il presidente Truman annunciò la politica degli aiuti. Negli anni di Yalta e di spartizione del pianeta, gli americani disegnarono la mappa dei destinatari. Ci inserirono la Colombia: perché, se non per una logica di potere e di sfere d’influenza, definire “terzo mondo” un Paese che ha un reddito pro capite simile a Portogallo o Grecia?» A proposito di Grecia, la “tirannia degli esperti” di cui parla sembra uno slogan di Varoufakis che conduce una battaglia contro l’Fmi e la Bce. Per ora ne ha ricavato solo una political character assassination personale. E’ solo una coincidenza?
«È un’applicazione del concetto che lo sviluppo economico è correlato alla libertà politica. Comporta qualcosa di più della semplice efficienza tecnica: l’ascolto delle istanze dal basso. È il tentativo di Syriza per il quale provo un’istintiva solidarietà. Per fortuna l’atteggiamento della cancelliera Merkel, il riferimento politico di tutti gli “esperti”, sta cambiando».