lunedì 4 maggio 2015

Repubblica 4.5.15
E ora il leader prepara la sterzata a sinistra: c’è bisogno anche dei dissidenti
Nella strategia di pace l’offerta della direzione dell’“Unità” a Cuperlo, che però rifiuta
Palazzo Chigi studia un bonus per i bambini poveri
di Goffredo De Marchis


ROMA Matteo Renzi oggi vuole vincere, anzi stravincere la battaglia sulla legge elettorale. Ha forzato con la fiducia e sta per portare a casa l’Italicum senza il patto del Nazareno e senza un pezzo del suo Pd. Ma già da alcuni giorni ha avviato una strategia per non rimanere scoperto a sinistra, per arginare la reazione della minoranza interna che parla di «macchia indelebile», di «ferita alla democrazia». Lo farà a partire dal giorno successivo all’approvazione della riforma con un’azione concentrica che passa attraverso i provvedimenti del governo e una serie di mosse dentro il Partito democratico.
Nella settimane scorse ha offerto a Gianni Cuperlo la direzione dell’ Unità, il giornale fondato da Antonio Gramsci che tornerà in edicola a settembre. È questa l’idea «bislacca» di cui ha parlato ieri a Bologna dove non a caso c’era l’ex presidente dem, unico tra i dissidenti a partecipare alla festa dell’Unità. Il corteggiamento continua (ed è continuato anche ieri) perché il premier sa quanto Cuperlo sia affezionato al quotidiano che ha interrotto le pubblicazioni ad agosto. La corda toccata da Renzi è molto sensibile. È un modo per aprire all’opposizione garantendo spazio e visibilità alle idee non renziane. Cuperlo ha già risposto “no grazie”, ma Renzi non si rassegna ed è sicuro di poter riavviare il dialogo con una parte della sinistra. Magari non tutta, certo. Civati, Fassina, D’Attorre, Speranza sono considerati con un piede già fuori. Irriducibili e forse irrecuperabili. Ma il segretario-premier, dicono a Palazzo Chigi, sa che il Pd non può rinunciare a un seme di sinistra dentro il suo partito. Proverà ancora a innaffiarlo.
L’altro fronte è quello della scuola. Il disegno di legge dell’esecutivo, in commissione, sta cambiando forma. In alcuni casi nella direzione chiesta da chi contesta, nel sindacato e nel Pd. Renzi non ha alcuna intenzione di ritirare la norma come gli chiedono molti oppositori. Però il governo pensa a un’apertura, anche dopo lo sciopero di domani. Sciopero che mobiliterà la minoranza dem dopo la prevedibile sconfitta di oggi sull’Italicum. In piazza con i sindacati ci saranno D’Attorre, Civati, Fassina e altri parlamentari. Non ci sarà Speranza, ma non perché si tira indietro. «Non vado, ma confermo la mia posizione sulla legge elettorale — dice l’ex capogruppo —. Matteo fa le riforme non solo a maggioranza ma nemmeno tutta la maggioranza. Fa finta di non vedere, ma ha messo in discussione le istituzioni. È una macchia per il Paese ».
Sono toni che non lasciano presagire una ricomposizione, la ripresa del dialogo a breve termine. «Non se la caverà nemmeno con un emendamento alla riforma della Costituzione», avverte D’Attorre. È la mossa che tutti si aspettano da Renzi che ha ora sul tavolo alcuni problemi. Le risorse da destinare al riordino delle pensioni, per via della sentenza della Corte Costituzionale. Le regionali, che in alcuni casi hanno bisogno del sostegno di tutto il partito e non solo della sua area renziana: in Liguria, in Puglia (dove si annuncia un’astensione ai livelli dell’Emilia Romagna), in Campania. In più il segretario deve staccare definitivamente i “responsabili” di Area riformista, quelli che hanno votato la fiducia, dagli irriducibili. «Renzi sparge parole buone dopo aver provocato lo strappo. Fa sempre così — ricorda un dissidente —. Stavolta però ha il problema del Senato dove rischia il Vietnam su ogni provvedimento».
In effetti a Palazzo Madama la maggioranza ha veramente pochi voti di margine. Basta un pugno di ribelli e può andare sotto. Non è semplice andare avanti così. Ventiquattro senatori del Pd hanno già rifiutato l’Italicum e sono pronti a dire no alla riforma costituzionale. Ma non ci sono soltanto i temi istituzionali. La minoranza punta ad attaccare anche sui numeri dell’economia e dell’occupazione. Renzi è obbligato a mandare messaggi anche in questa direzione se vuole evitare una “scissione” che potrebbe tradursi in gruppi autonomi in Parlamento. Per questo ieri ha fatto capire che non rinuncerà a investimenti pubblici, malgrado il problema delle pensioni. L’idea, i tecnici sono già al lavoro per capire quanto realizzabile, è quella del bonus per i bambini sotto la soglia di povertà. Una misura di sinistra. Ma oggi è il giorno dello scontro, in cui i dissidenti drammatizzeranno l’esito del voto a Montecitorio. E forse dopo sarà difficile recuperare dentro il Pd.