lunedì 4 maggio 2015

Repubblica 4.5.15
Tre questioni sull’Italicum
di Piero Ignazi


TROPPO tardi, troppo poco. È inutile e tardiva la battaglia della minoranza Pd sull’Italicum. Non ha molto senso cercare di limitare i danni di una legge malfatta alla fine di un lungo processo legislativo. Ormai è arrivata in dirittura d’arrivo. Solo che ci lascia in eredità tre problemi: restringe le linee di comunicazione tra cittadini e classe politica, concentra il potere nelle oligarchie di partito e mina quella stessa stabilità governativa che vuole garantire.
La sentenza della Corte Costituzionale aveva offerto una ghiotta occasione per introdurre un nuovo, efficiente e giusto sistema elettorale. Invece, il Pd, al quale spettava fare la prima mossa, ha preferito stringere un accordo “strategico” con Forza Italia utilizzando il viatico di una legge elettorale gradita ai berlusconiani. Il patto siglato da Renzi e Berlusconi sull’Italicum è così assurto a una intangibile tavola della legge. Le critiche — e le proposte alternative — dovevano essere fatte allora, contrapponendo ai propositi proporzionalisti e premiali (questo il cuore, aritmico, dell’Italicum) una coerente visione maggioritaria e uninominale sempre sbandierata dalla sinistra nelle sue varie incarnazioni, dall’Ulivo al Pd. Ma, come candidamente confessò un negoziatore dell’Italicum, Berlusconi non voleva i collegi uninominali, e allora… niente.
Adesso, questa è la legge. Comunque, non è una legge nuova. E alcuni dei correttivi introdotti sono, come si dice in Veneto, un tacòn pèso del buso . I cardini su cui si regge l’impianto dell’Italicum sono tre, esattamente gli stessi su cui si reggeva il Porcellum: in ordine di importanza, la logica premiale, la logica proporzionale di lista, la logica oligarchica. Il premio di maggioranza è il primum mobile da cui discende tutto. In fondo, nel paese dei telequiz — e di politici nostalgici di quei tempi — non c’era nulla di più naturale che assegnare un bel premio di seggi al vincitore.
L’illusione ingegneristica dei sostenitori dell’Italicum è che, grazie al bonus, il partito vincitore governerà sicuro e compatto per tutta la legislatura. Al di là di tutta una serie di questioni legate ai contrappesi istituzionali affievoliti, e quindi all’eccessiva concentrazione di potere (che, da liberali, bisogna temere per via delle inevitabili e insopprimibili “debolezze umane”), il partito unico al comando rischia invece di implodere in poco tempo. Chi conosce le dinamiche intra-partitiche sa bene che, in assenza di nemici esterni, la lotta politica si trasferisce all’interno dei partiti. Con effetti potenzialmente devastanti, fino alla scissione. L’incentivo a dividersi una volta che un partito ha conquistato la maggioranza e guida da solo il governo rimane intatto in un paese con una cultura politica frazionistica (e la cultura politica non cambia in due giorni). Una minoranza con un pacchetto di voti sufficiente a mettere in minoranza il governo detiene un potere di ricatto ben superiore a quello di un partito esterno che entra in coalizione. Non è un caso che l’Italia abbia il record mondiale dei cambi di casacca in Parlamento. O pensiamo che questa “abitudine” cesserà d’un tratto per l’effetto magico dell’Italicum?
Infine, il premio, che peraltro non esiste in nessuna democrazia matura (con la parziale eccezione della Grecia…), costituisce la forzatura necessaria e conseguente alla logica proporzionale di lista ereditata dal Porcellum. Questa forzatura discende dal rigetto del sistema maggioritario uninominale, un sistema dove i cittadini eleggono il “loro” rappresentante in un collegio. Con un annebbiamento fittissimo della ragion politica gli oppositori interni del Pd hanno sventolato la bandiera delle preferenze: così, per combattere un difetto — i deputati nominati — si inocula un virus ancora peggiore, quello delle preferenze, di cui ben conosciamo i guasti.
Non è questa la strada per rimediare alla più grave carenza del nostro sistema politico che non è la governabilità, bensì il distacco dei cittadini dalle istituzioni e dai suoi rappresentanti: l’antipolitica, in una parola. Per facilitare un minimo di rispondenza tra elettori ed eletti, per ridurre la distanza tra ceto politico e cittadinanza, non c’è migliore soluzione che consentire ai cittadini di scegliere il proprio rappresentante direttamente in un collegio. Se il nostro problema è quello della disaffezione dalla politica, un sistema proporzionale premiale con liste bloccate va nella direzione sbagliata. La logica oligarchica delle liste bloccate decise dall’alto è comunque l’unica su cui si può ancora intervenire. Basterebbe adottare una norma ad hoc per obbligare i partiti a far scegliere i candidati alle elezioni ai propri iscritti e/o simpatizzanti. Le modalità possono essere le più varie: l’importante è che la scelta sia demandata alla base e sottratta alle alchimie e agli scambi opachi degli organi dirigenti. Poi, come in tutti i paesi, la dirigenza nazionale deve disporre di una adeguata libertà di manovra per collocare un certo numero di candidati in collegi sicuri. In conclusione, l’Italicum non interviene sui nodi del nostro sistema politico. Non restringe il fossato tra elettori ed eletti: anzi, rischia di allargarlo. Non assicura la governabilità: anzi rischia di incentivare la frammentazione dei partiti vincenti. Non rende più aperti e rispondenti i partiti: anzi, rischia di renderli più lontani ed autoreferenziali.