lunedì 4 maggio 2015

Corriere 4.5.15
«Chiamateli, voglio parlare con loro». Quella convocazione al volo dei Cobas
Il leader a Cuperlo: benvenuto a casa tua. E potrebbe dargli la direzione dell’Unità
di Fabriziuo Roncone


BOLOGNA Gli agenti del reparto mobile alzano rilassati la visiera del casco mentre i militanti camminano sull’erba e gridano «Dai Matteo!», «Sei forte Matteo!», certi ancora con il pugno chiuso da vecchio Pci e gli occhi lucidi, tra emozione e stupore, perché il segretario-premier è sceso dal palco, s’è avvicinato alle transenne e ha dato baci, preso e dato pacche sulle spalle, e carezze, e buffetti come raramente se n’erano visti a una Festa dell’Unità: e tutto questo mentre dagli altoparlanti rimbomba la voce da caverna forte e travolgente di Ligabue che canta «Siamo chi siamo».
All’improvviso, però, nella bolgia, Matteo Renzi si volta.
«Dove sono andati?».
Il ragazzo dell’organizzazione farfuglia: «Dove sono andati… chi?».
«I precari della scuola che prima fischiavano. Chiamateli, voglio parlarci».
Quelli dello staff si guardano perplessi, quelli della scorta mettono su musi contrariati: bisognerebbe partire subito per Milano, gli spostamenti di un presidente del Consiglio prevedono protocolli di sicurezza rigidi.
«Forse non mi sono spiegato: voglio parlare con quei precari. Voglio spiegargli che riforma della scuola abbiamo in mente».
Sono una ventina, ma hanno fatto un certo baccano durante il comizio. Prima, giù in strada, hanno cantato «Bella ciao» dandosi il ritmo con pentole e tamburelli; poi hanno nascosto tutto in due borsoni e, tranquilli, sono entrati.
Perché era cominciata così: parco della Montagnola presidiato, blindati a ogni cancello, perquisizioni. Prego: mi apre lo zainetto? Cos’ha in tasca? Un centinaio di giovani dei centri sociali gira largo e va a mettersi sotto la scalinata di piazza XX Settembre. Scandiscono qualche slogan, il più originale dei quali è: «Renzi\ carogna\ fuori da Bologna!». Poi fingono di andarsene mesti; invece marciano per cento metri e cercano di forzare in piazza 8 Agosto. Ma non è giornata. Sputano e lanciano uova, vernice, un paio di bottiglie di birra vuote; la polizia accenna una carica leggera. Volano calci, qualche manganellata: una ragazza portata via in barella, tre ragazzi fermati.
Dentro, alla festa, nessuno ha sentito.
In cima alla salita, il compagno Ettore controlla un po’ deluso la teca con le offerte. Qualche moneta da un euro, due banconote da 5, il cinquantino rosa che, generosamente, a favore di telecamere, aveva fatto scivolare Gianni Cuperlo.
Della minoranza Pd, solo lui. Ovviamente molto intervistato. E, a sorpresa, anche contestato.
Gruppetto di militanti.
Le facce belle e pulite che uno s’aspetta di vedere a una Festa dell’Unità.
Ti dicono: noi siamo gente che Renzi, guardi, per essere sinceri, non è che Renzi poi ci faccia impazzire.
«E infatti — dice la signora Tiziana Albertina Ramponi di anni 55, da Pieve di Cento — noi alla primarie s’era votato prima per Bersani e poi per Cuperlo. Solo che adesso…».
Adesso?
«Beh, adesso, non ci piacciono i comportamenti di quello lì…» (e indica, con una smorfia di biasimo, Cuperlo, che intanto allo stand delle piadine sta salutando la cuoca).
Continui.
«Prenda la legge sull’Italicum: prima gli andava bene, poi hanno cambiato idea, con scuse assolutamente pretestuose. Lui, Bersani, Fassina… quanti sono? Arrivano a 40? No, non ci arrivano. E però, lo stesso, vogliono fermare le riforme e spaccare il partito. Dai, si può?».
Cuperlo è andato ad ascoltare Renzi, mischiato tra la folla. Poco più in là c’è Gennaro Migliore. La guardia renziana è invece tutta sotto al palco (Puglisi, Bonifazi, Carbone, Morani). Annuiscono entusiasti, applaudono senza sosta e quando Renzi dice: «A parte la mia maestra Eda di cui vi ho già parlato… io sono anche figlio di insegnanti, i miei suoceri sono insegnanti, mia moglie è insegnante… e perciò li conosco i problemi degli insegnanti, e non è con quei fischietti, con i vostri fischi, che restituiremo dignità ai docenti!», ecco — quando Renzi finisce questa frase — la Morani si guarda con Carbone e insieme si dicono: «Vabbé, no, è proprio un fuoriclasse…».
Seguono altre frasi che daranno titoli ai giornali. «Io non schiaccio la testa a nessuno». «Non ci fermeremo a cento metri dal traguardo come Dorando Pietri». « L’Unità tornerà in edicola». Poi, rivolto a Cuperlo, che alcuni sospettano possa essere il nuovo direttore del quotidiano fondato da Antonio Gramsci: «Benvenuto a casa tua» (molti lo interpreteranno come un omaggio di pace quasi cavalleresco, anche in vista dell’imminente voto finale sull’Italicum: ma, forse, andrebbe studiato il mezzo ghigno sfuggito a Renzi, in quel momento).
E così torniamo alla scena iniziale.
La folla che ondeggia eccitata e Renzi che, voltandosi di scatto, s’allontana dalle transenne, dai selfie, e come colto da un’intuizione improvvisa, chiede ai suoi di poter incontrare i precari della scuola.
Il compagno Fosco dice che i Cobas sono gente tosta e l’incontro chissà quanto può durare. Perciò lui se ne va a mangiare le tagliatelle fumanti che, laggiù, sotto gli alberi, sta servendo in tavola la signora Elisa .