Repubblica 31.5.15
E ora il segretario teme un nuovo ribaltone
“In Campania e in Liguria può succedere di tutto”
di Goffredo De Marchis
ROMA Misurare il consenso rispetto alle riforme dell’ultimo anno, dal Jobs Act alla legge elettorale, dai dati sull’economia alla prima manovra finanziaria del suo governo. Pesare il dato del Pd, al netto della rottura ormai conclamata seppure non esplosa definitivamente con la sinistra. Alla fine Matteo Renzi dice che non è un referendum sulla sua persona, ma in questa dichiarazione ci sono anche i mille dubbi che improvvisamente oscurano le certezze del premier. «Sono preoccupato », confessa ai suoi collaboratori. Non esclude affatto il contraccolpo dopo la diffusione della lista degli impresentabili da parte della commissione Antimafia che può fare danni ben oltre la Campania, anzi incide più sulle previsioni di altre regioni coinvolte dal voto. Eppoi c’è la Liguria, che sta diventando un po’ l’Ohio italiano, il posto dove si valutano i pesi degli schieramenti in campo. In questo caso, la sfida è tutta interna al Pd. Renzi cerca di dimostrare l’irrilevanza del dissenso più irriducibile. La sinistra vuole mostrare la sua forza numerica. «Ma le cose stanno cambiando», ripete il capo del governo alla vigilia del voto. Un pessimismo che si basa sugli sondaggi ricevuti da Palazzo Chigi e meno confortanti rispetto a quelli precedenti.
Campania e Liguria sono dunque gli snodi delle elezioni di oggi. E se non lo saranno sul governo avranno sicuramente un effetto sul Partito democratico, sui suoi assetti e sulla convivenza tra minoranza e maggioranza. Lorenzo Guerini è destinato ad abbandonare la poltrona di vicesegretario per trasferirsi alla Camera come capogruppo di una pattuglia di 310 deputati. È un esito ormai scontato, Guerini, superrenziano, potrà però sfruttare alcuni buoni rapporti personali con i ribelli in modo da arrivare a superare il quorum d’elezione. Ettore Rosato, che era il favorito per la presidenza del gruppo, a sorpresa potrebbe diventare il vicesegretario del Pd insieme con la Serracchiani. Ma a lui toccherebbe il ruolo di vero plenipotenziario per tutte le partite in periferia. Un ruolo molto delicato come si è visto nel caso De Luca. Rosato è molto legato al sottosegretario Luca Lotti e ha dato prova di tenuta durante il voto sull’Italicum, portando a una “scissione” nel fronte dei dissidenti. Resta per il momento una suggestione l’idea di affidare a Maria Elena Boschi la delega di vicesegretario unico con conseguente uscita dal governo. Se però finisse così, la sinistra coglierebbe un segnale. «Boschi rimane al ministero se Matteo pensa di andare fino in fondo sulla riforma costituzionale ipotizza Alfredo D’Attorre -. Ma per arrivare al traguardo il premier o fa un accordo con noi della minoranza o con un pezzo di Forza Italia. Se invece va a Largo del Nazareno significa che la riforma finisce su un binario morto e Renzi si prepara alle elezioni molto presto».
Sono comunque scenari che non possono prescindere dal voto di oggi. «Francamente non sono un test politico sul governo dice Renzi -. Potevano esserlo le elezioni europee, lettura che anche in quel caso non condivide- vo. Ma le elezioni locali servono per le elezioni locali. Non c’è nessuna conseguenza». Parole solo in parte vere. Sia per l’esecutivo sia per il partito. La sinistra è convinta che finiranno 6 a 1, che le bandierine saranno decisamente a favore del premier-segretario. Quindi, Renzi andrà avanti puntando al 2018. Ma con quale tipo di dialogo dentro il Pd? Lo scontro dopo la pubblicazione dei nomi dell’Antimafia dimostra che i rapporti sono ai minimi termini. Persino la dichiarazione distensiva del leader in pectore dei dissidenti va letta in due modi. «Conosco bene De Luca - dice Roberto Speranza all’Ansa - e vedere il suo nome accostato all’Antimafia è in totale contraddizione con il suo impegno e con la sua storia che sono stati sempre rivolti al servizio esclusivo della comunità ». Un assist contro la Bindi e a favore di Renzi? Non solo. È anche la dichiarazione che avrebbe dovuto fare un segretario di partito in piena campagna elettorale e a 48 ore dal voto. «Rispettosa delle istituzioni e di sostegno al proprio candidato senza esitazioni», recita un bersaniano. Insomma, una lezione di stile che potrebbe tornare utile nel caso di una futura resa dei conti post elettorale. Del resto Speranza ha fatto campagna elettorale a tappeto per i candidati del Pd. È stato a Napoli con De Luca e ha guidato un appuntamento di Raffaella Paita in Liguria. Come dire: non si esce dal Pd, si cerca il suo successo. Poi arriverà il momento del confronto. Se il partito dovesse scendere dal 40,8 per cento a percentuali più vicine al 30, la minoranza è convinta che si dovrà riflettere sui voti persi a sinistra, dopo gli scontri con il sindacato, il Jobs act, la contestata riforma della scuola e in ultimo la legge elettorale con la fiducia messa in aula.
Non sarà un test, ma nelle urne delle 7 regioni si giocano molte partite e Renzi ha bisogno di una vittoria netta almeno vicina a quella del 40 per cento. Perché il consenso è il vero motore del suo governo.