Repubblica 29.5.15
Se cresce nelle urne l’onda anti-sistema
di Stefano Folli
OGNUNO sceglie il suo tema nel circuito mediatico della campagna elettorale. E il grado di cinismo è dato da quanto ciascuno è in grado di sopportare. Matteo Salvini ha scelto l’insicurezza delle persone, la paura verso gli immigrati, il timore dei senza-legge, che siano “rom” o altri gruppi etnici meno simbolici.
LA tragica corsa di Roma, i morti e i feriti alla fermata dell’autobus, la scoperta che l’intestatario dell’auto investitrice è titolare di altre venti vetture, tutto questo determina reazioni rabbiose quanto irrazionali. Il “lepenista” Salvini è abile nel fomentarle e volgerle a proprio vantaggio. Evocare le ruspe per spianare i campi dei nomadi vuol dire trasmettere un messaggio primitivo, grossolano e pericoloso, ma forse efficace nell’Italia di oggi, sfilacciata e turbata.
Si dirà che è demagogia e neanche di alta qualità. Si potrebbe aggiungere che il capo leghista non può davvero credere di governare l’Italia, in un futuro indefinibile, sulla base di questi programmi e di simili invettive. Ma è chiaro che il governo del Paese non è il suo obiettivo. Salvini oggi ha altri piani: punta a rosicchiare un punto ai “grillini”, un punto a Berlusconi, di cui teme la rimonta dell’ultim’ora, magari un punto agli astensionisti cronici. Punta insomma a vincere la battaglia interna al centrodestra. Poi si aprirà una fase e chi avrà più voti li metterà sul tavolo per condizionare gli interlocutori. Salvini ha bisogno di dimostrare che non sarà Berlusconi a dare le carte e a decidere come e su quali basi dovrà ristrutturarsi il nuovo centrodestra. È un gioco spregiudicato, ma con una sua logica. Anche perché l’uomo della Lega sa bene che queste non sono elezioni generali: si vota solo in alcune zone, un po’ a macchia di leopardo. Spesso in aree al centro-sud in cui la Lega raccoglie poco o nulla. Per cui non è detto che domenica notte la percentuale del Carroccio rispecchierà fedelmente quella che esso otterrebbe se si votasse sull’intero territorio nazionale.
Peraltro ciò che più colpisce, a tre giorni dal voto, è il costante favore di cui godono i Cinque Stelle. Nonostante spaccature e polemiche, nonostante la campagna sotto tono del leader carismatico Grillo, i sondaggi danno il movimento intorno al 20 per cento, forse persino di più. Certo, sappiamo che i sondaggi spesso sbagliano. Ma se avessero ragione, avremmo il bizzarro caso di due partiti d’opposizione dura e molto chiassosa, Cinque Stelle e Lega, in grado di avanzare insieme con un messaggio dirompente e anti-europeo. È la conseguenza italiana della faglia che si è aperta nell’Unione, fra Grecia, Spagna, Polonia e senza dimenticare il prossimo referendum inglese.
L’anno scorso, proprio con il voto europeo, Renzi aveva tamponato e in parte riassorbito l’ondata anti-sistema. Era stato il suo capolavoro politico: un populismo “soft” per contrastare il populismo “hard” di Grillo. Adesso ci si domanda se non stiamo assistendo a un ritorno della fronda, incoraggiata dal senso di disgregazione che si respira in Europa. In questo senso, i “rom” contro cui si scaglia Salvini sono la metafora dell’incertezza generale. Da parte sua, Renzi è del tutto in grado di vincere la sua battaglia, se vincere significa aggiudicarsi più regioni degli avversari. Ma il rischio è che si tratti di una vittoria solo numerica. Il rinnovamento è stato molto superficiale e insoddisfacente, come dimostra il caso Campania e la pantomima degli “impresentabili”. Forse proprio la mancata rigenerazione del personale politico della sinistra è il vento che gonfia le vele dei Grillo e persino dei Salvini.