venerdì 29 maggio 2015

Corriere 29.5.15
Genova la «rossa» diventa un territorio ostile
di Marco Imarisio


«Combattiamo casa per casa, ma è durissima». All’improvviso Genova la rossa è un territorio ostile, che autorizza i massimi dirigenti del Pd locale a metafore belliche con annesso ricorso ai superlativi per sottolineare la durezza della prova che stanno affrontando. La partita del centrosinistra in Liguria si gioca tutta in una città da sempre di sinistra. Dovrebbe essere il salotto di casa, invece viene considerata una missione quasi impossibile. Le guerre è meglio lasciarle al loro posto, ma quella del Pd che cerca di vincere queste elezioni regionali così complicate dando per perso o vinto male nella migliore delle ipotesi il capoluogo, è al tempo stesso un’impresa e un paradosso. Genova e la sua area metropolitana contano per metà della Liguria. L’età media degli elettori è la più elevata d’Italia. L’anagrafe non aiuta a capire le difficoltà che sta incontrando il Pd, stretto tra la scissione a sinistra di Luca Pastorino, che fuori dalla cinta daziaria vale come la lista Tsipras ma qui ha il granaio che determinerà la sorte della sua avventura, e un Movimento 5 Stelle che non è mai stato profeta in patria e adesso invece incombe come una nuvola nera su qualunque possibile previsione o scenario futuro. Appena un anno fa, Genova rispose alla novità di Matteo Renzi con un’apertura di credito del 45 per cento alle europee, superiore al dato nazionale. In mezzo ci sono stati gli strascichi non ancora assorbiti delle contestate primarie di gennaio e l’annessa e ancor più deleteria sottovalutazione dell’accaduto da parte dei vertici nazionali. La conseguenza immediata è stata uno schiacciamento sulle reciproche posizioni, dissidenti contro renziani. E la tremenda fatica della candidata Raffaella Paita a farsi accettare nel luogo dove potrebbe essere chiamata a governare per cinque anni. Non è una novità. Nel 2011 la lista di sinistra che portava il nome dell’indipendente Marco Doria, l’attuale sindaco, arrivò al 17%. In quel caso correva insieme al Pd, con il quale in regime di convivenza sempre più forzata oggi amministra il Comune. Oggi quel bacino di voti è diventato un diretto concorrente. Eppure non basta, c’è dell’altro. Genova è un territorio di sinistra operaia e tradizionale che non riesce ancora a immaginarsi nel Pd a trazione renziana. E’ come se la mutazione genetica in corso nei democratici avesse provocato una crisi di rigetto seguita alla luna di miele del 2014. Ieri Pier Luigi Bersani è andato nella tana del lupo per sostenere il segretario regionale, Giovanni Lunardon, cuperliano. Il luogo era di quelli che scaldano il cuore a sinistra, la Società di mutuo soccorso Fratellanza di Pontedecimo. Uno dei grandi quartieri popolari della città, che da Sampierdarena alla Valpolcevera sono diventati terra di dissidenti e di voto disgiunto. L’ex segretario ha fatto appello all’unità del partito, parlandone come di una creatura di appena otto anni, che tante ne deve ancora vedere e vivere. Raffaella Paita è entrata quasi di soppiatto per la sua visita di cortesia, accompagnata da molto silenzio e nessun applauso. L’imbarazzo si è sciolto solo quando l’ospite l’ha abbracciata sul palco, invitando il pubblico a sostenere la «nostra e vostra» candidata. Comunque vada Genova è un monito a futura memoria per i vertici del Pd. D’accordo che basta vincere, così pare, ma voltarsi dall’altra parte non è una soluzione. Il linguaggio del corpo del Pd non è dei migliori. Matteo Renzi ha scelto di non tornare. Con sprezzo di corsi e ricorsi storici, la manifestazione di chiusura si terrà all’auditorium del Museo del mare, capienza massima 500 posti. Beppe Grillo parlerà in piazza De Ferrari, nel cuore della città. Nel suo piccolo, è la replica delle politiche 2013, i Cinque stelle in piazza San Giovanni a Roma, il Pd chiuso in un teatro. Sappiamo come è andata a finire. Attenti a Genova.