giovedì 28 maggio 2015

Repubblica 28.5.15
Abel Fernàndez-Larrea
“Ci sentiamo più liberi ma ormai Cuba è vuota”
intervista di Anna Lombardi


L’AVANA «ORA tutti parlano della riapertura dell’ambasciata americana. Ma sanno che il cambiamento sarà lento. È sempre così a Cuba. Il divario è tale che prima che le cose cambino per tutti passa molto tempo». Abel Fernández-Larrea, 37 anni, è uno degli scrittori della “Generazione zero” cubana, come li ha definiti la rivista digitale Sampsonia Way di Pittsburgh che per prima li ha tradotti in inglese in una raccolta intitolata “Generation Zero, An Anthology of New Cuban Fiction”. Racconti, i suoi, che mirano a riformulare l’immagine della cubanità, romanzi come Absolut Rötgen sorprendentemente ambientato in una Russia post Chernobyl. «Perché l’immaginario della mia generazione è sovietico: erano russi i fumetti che leggevamo, russi i programmi tv. E da noi venivano i bambini di Chernobyl».
La sua “Trilogia sucia de Manhattan” è invece ambientata in un’America immaginaria ed è fra i pochi romanzi che si possono trovare nelle spoglie librerie de L’Avana, premiato l’anno scorso col Premio Calendario che Cuba assegna ai giovani scrittori. Un altro segnale di cambiamento?
«Per carità, il cambiamento c’è. Ma la mia è una generazione pessimista-ottimista. I nostri nonni avevano la fede rivoluzionaria. I nostri genitori la speranza. Noi siamo disincantati. Dei grandi cambiamenti a Cuba tutti parlano: da anni. Ma poi tutto resta quasi come prima. Certo, questa situazione andrà in frantumi prima o poi. È tutto troppo vecchio: si sta consumando. Ma sarà un processo naturale: e dunque lento».
Lento quanto?
«Ho visto molte volte le energie crescere, esplodere e scomparire, La gente si stanca e se ne va o resta e si svuota. È indubbio: rispetto a 10 anni fa questo è un altro mondo. Allora si stava attenti a ciò che si diceva pubblicamente. Ora tutti si sentono più liberi di rivelare i propri pensieri. Dopo tanto tempo la gente non ne può più: e anche il governo. Che per sopravvivere è costretto ad adeguarsi a un mondo che cambia pur di mantenere un controllo che non è più totale come un tempo».
Cosa non controlla più?
«A Cuba manca tutto, ma se sai cercare trovi lo stesso di tutto. Se poi puoi spendere per pagarti Internet, sai che gli account online non sono controllati. Nessuno censura la tua mail o controlla il tuo profilo Facebook. A patto di poter spendere 7 peso convertibili per 1 ora di navigazione: una cifra molto alta».
Non ha paura che l’apertura, quando ci sarà, cambierà per sempre la natura dell’isola?
«Qui si distrugge e si continuerà a distruggere. Prendi la cultura: l’hanno sostituita con una artificiale, retorica, senza basi. Ma la cultura non è una fabbrica dove pianifichi e modelli. Il fatto è che qui la politica è ovunque. E la mia generazione ha finito per odiare la politica perché ha contaminato tutto, a partire dal senso di appartenenza. Oggi la cultura cubana è fatta di niente. E quindi se anche svendono l’isola, vendono niente, qualcosa che la gente non sente più sua. Cuba ormai rappresenta più per gli stranieri che per i cubani».
Una visione fosca. Come immagina il futuro?
«Non so cosa diventeremo. Continueremo ad esistere in un modo o nell’altro: non voglio essere apocalittico ma non sarà certo un paradiso. Immagino che un giorno non ci sarà differenza fra Cuba e la semi americana Portorico. Rischiamo di diventare un paese caraibico qualsiasi…».