Repubblica 28.5.15
La Campania infelix del partito del premier
L’ambiguità del premier-segretario su De Luca svela il potere che ancora esercitano alcuni “feudatari” locali
di Stefano Folli
COME sempre accade, la «questione morale » è un tema tutto politico. Non è la contabilità un po’ grottesca dei diciassette nomi, o quanti sono, individuati dall’Antimafia di Rosy Bindi e poi non pervenuti fino alla vigilia del voto. La questione morale è altro. Oggi è l’ambiguità della Campania, dove Renzi non può non appoggiare il candidato non eleggibile, De Luca, ma nel momento in cui lo appoggia viene accusato di aver tradito se stesso.
Quando il presidente del Consiglio sostiene orgoglioso che «nelle liste del Pd non ci sono impresentabili», si riferisce alla lista dell’Antimafia, ammesso che qualcuno l’abbia letta e trascritta. Ma il problema non è solo questo. E infatti il candidato governatore del Pd, l’efficiente ex sindaco di Salerno, dichiara spavaldo: «Renzi considera superabile la legge Severino» (quella che prescrive i criteri della non eleggibilità per i condannati). De Luca tira l’acqua al suo mulino e si fa scudo del premier-segretario. Punta, una volta eletto, a restare in carica per qualche settimana, il tempo di formare una giunta e di passare le consegne a un vicepresidente. Poi ci sarà la decadenza provvisoria, che non è automatica il giorno stesso dell’elezione, in attesa che la matassa venga sbrogliata in sede giudiziaria o più realisticamente sul piano politico. Con una riforma della Severino che tuttavia non potrà essere la priorità delle priorità per il governo e tanto meno per il Parlamento.
Il punto è che questo percorso, peraltro complicato, è lesivo per l’immagine moderna e accattivante del giovane premier. «Nessuno può attaccarci sul tema della legalità » egli sostiene. E invece l’inglese “Financial Times” coglie la contraddizione politica, non giudiziaria: De Luca, il candidato non eleggibile, è la prova che il dinamismo del premier incontra ostacoli insormontabili in Campania. Qui Renzi ha dovuto chinare la testa e, anzi, si è messo a fare campagna elettorale per un personaggio che il quotidiano di Londra ha innalzato a simbolo negativo di queste elezioni. A conferma che il «partito del premier» resta un obiettivo, non è ancora una cosa fatta. Adattare, e quindi forse aggirare, una legge dello Stato — appunto, la Severino — peraltro votata a suo tempo dai parlamentari del Pd, rischia di vanificare il filo con l’opinione pubblica costruito proprio sulla retorica del rinnovamento. Di sicuro il Pd di Napoli non è espressione del «renzismo» e dimostra, come scrive l’inviato inglese, che l’influenza del premier si dissolve uscendo da Roma, se il viaggio è verso Sud anziché verso Firenze.
De Luca è il prodotto di queste circostanze, ma è anche la dimostrazione di quanto è lungo il cammino di Renzi se davvero vuole plasmare, modellandolo su se stesso, un partito omogeneo nel territorio e non solo negli studi televisivi. A tali osservazioni, il premier risponde intensificando la campagna elettorale. Con l’idea evidente che un plebiscito su se stesso rappresenta la miglior garanzia contro i feudatari locali. Poi, una volta consolidato il potere romano, i «cacicchi» locali verranno depotenziati e, appena possibile, sostituiti. È il calcolo di chi non se l’è sentita di fare i conti con la Campania prima del voto, anziché dopo. Quando però potrebbe essere troppo tardi.
Sta di fatto che queste regionali non sono un terreno facile per nessuno, a cominciare dal presidente del Consiglio. Persino una franca vittoria del Pd, ammesso che sia a portata di mano, potrebbe non bastare, se dovesse lasciare il premier-segretario prigioniero delle beghe locali. Nel frattempo i pasticci in corso equivalgono ad altrettanta benzina gettata sul fuoco che riscalda Grillo. I sondaggi lo danno in ottima salute, forse perché parla meno che nel 2013, o anche delle elezioni europee. Può darsi che domenica 31 vedremo andare in scena il primo atto del dramma destinato a contrapporre per alcuni anni il Pd non ancora e non tutto di Renzi e i Cinque Stelle di Grillo. Puntellato dalla grande alleanza delle forze antisistema. Sarebbe il colmo se tutto avesse avuto origine dalla Campania non più «felix ».