Repubblica 26.5.15
Per chi suona la campana di Madrid alle regionali
di Stefano Folli
Non esiste un Podemos italiano ma Renzi dovrà fronteggiare una vasta area anti-sistema
ASEI giorni dal voto in Italia, la campana spagnola suona per tutti: per Renzi come per Salvini e persino per l’estrema sinistra di Vendola che si considera, in modo alquanto arbitrario, la più affine a Podemos. Il problema è che il malessere europeo è diffuso e ramificato, con profili diversi e talvolta imprevedibili. Non c’è apparente somiglianza fra i nazionalisti vincitori a Varsavia e la nuova sinistra di Madrid e Barcellona, salvo una: tutti sono insofferenti verso l’Europa attuale, mentre cresce l’incertezza sul futuro della Grecia.
Se questo è lo scenario, ci si domanda quale sarà l’eco in Italia, domenica prossima. In fondo in Spagna l’affermazione di Podemos è stata facilitata dal carattere amministrativo del voto. In caso di elezioni legislative, il sistema elettorale produrrebbe un diverso risultato: vincerebbero i popolari, seguiti dai socialisti e per il nuovo leader Iglesias ci sarebbe solo il terzo posto con un numero modesto di parlamentari. Anche l’Italia ha una legge elettorale, l’Italicum, che spinge la dinamica politica nella gabbia del bipartitismo. Tuttavia domenica non ci sarà l’Italicum poiché non si vota per il Parlamento, ma per rinnovare sette regioni e numerosi comuni. Ne deriva che sulla carta l’ondata serpeggiante in Europa potrebbe travolgere anche da noi qualche partito strutturato e qualche candidato sbagliato. «Oggi in Spagna, domani in Italia», diceva Carlo Rosselli, ma erano ben altre e più drammatiche circostanze. Vero è che non esiste un Podemos italiano. I Cinque Stelle di Grillo? Ci sono alcuni punti di contatto, ma sono gli stessi spagnoli a rifiutare qualsiasi parentela. I leghisti di Salvini? Il loro capo è il primo a riconoscersi semmai nel nazionalista polacco Duda, simmetrico per certi aspetti alla francese Le Pen, alleata del nuovo Carroccio. Quanto alla sinistra neo-comunista, non si sfugge all’impressione che gli spagnoli siano portatori di un messaggio frizzante e innovativo, molto «pop», al di fuori degli schemi burocratici in cui si sono arenati il Sel vendoliano e altre piccole formazioni. Tuttavia su questo versante c’è senza dubbio un vuoto da riempire — fra la politica e il sindacato — ed è possibile che le notizie da Madrid finiscano per spingere Landini, ma non solo lui, a rompere gli indugi.
Sono circostanze che riguardano il futuro. Per il momento, a pochi giorni dal voto, c’è da registrare che l’area della protesta, del rancore e del disagio raccoglie più di un terzo degli elettori (sempre che i sondaggi siano credibili). Se si somma il 18-19 per cento di cui è accreditato un Beppe Grillo insolitamente silenzioso, quasi sotto tono, e il 13-14 assegnato a Salvini, si ottiene un dato fra il 31 e il 33 per cento. Se poi si considera anche la percentuale dei Fratelli d’Italia, partito di destra dal linguaggio anti- sistema, si supera il 35-36 per cento. Quindi, sebbene non esista un Podemos italiano, l’area euro-scettica, diffidente verso la moneta unica e il rigore tedesco, è tutt’altro che trascurabile. Berlusconi, pur nelle condizioni in cui si trova Forza Italia, ha intuito la tendenza e ha provato a rilanciare il tema del «ritorno alla lira». Troppo poco e troppo tardi, ma è un indizio.
Renzi sa di essere di essere debole in Liguria e in Campania, dove i grillini sembrano in buona salute. Ma in Liguria è soprattutto la ferita a sinistra, quella che il premier chiama «bertinottismo 2.0», in grado di frenare la candidata del Pd. Il contagio spagnolo, sia pure declinato nelle forme italiane, potrebbe dunque provocare sorprese. Ecco perché Renzi tenta di annettersi lo smottamento in Europa, che si tratti di Spagna, Polonia o Grecia, cogliendone soprattutto il messaggio anti-austerità. E presentandosi come il campione di tali istanze presso la Merkel, Hollande o la Commissione. Per la verità è uno sforzo che Renzi compie non da oggi, ma non si sa quale potrà essere la reazione dell’elettorato. Di certo, quel 35 per cento potenziale di voti «contro», aggiunto ai dati sull’astensione, indica che permane molto scetticismo fra gli elettori. Mancano pochi giorni per convincerli.