martedì 26 maggio 2015

La Stampa 26.5.15
Il bluff del 4-3
Il premier cerca di motivare gli astensionisti
di Marcello Sorgi


L’avrà anche detto per scaramanzia, per esorcizzare quel 4 a 3 che «sarebbe comunque una vittoria», ma paragonato al 40,8 per cento dell’anno scorso alle Europee, rappresenterebbe una sorta di minimo sindacale. E dovrebbe mettere in conto, oltre a quella già scontata in Veneto, altre due sconfitte in Liguria e in Campania.
A sentire i più vicini al premier, Renzi - che ha letto con preoccupazione i risultati delle elezioni spagnole, con il successo di Podemos - parla, sì, per cercare fino all’ultimo di mobilitare un elettorato che continua a restare abulico, ma anche perché i sondaggi dicono che nelle due regioni i candidati del Pd e quelli del centrodestra sono testa a testa. Inoltre, relativamente alla Campania, è in arrivo una sentenza della Cassazione che oggi potrebbe annullare l’ordinanza con cui il Tar ha rimesso al suo posto a Napoli De Magistris e pregiudicare l’insediamento come governatore, in caso di vittoria, dell’attuale candidato del centrosinistra De Luca.
Renzi annuncia che comunque vadano le cose dopo il voto il Pd cambierà. È il suo modo di riconoscere che - malgrado la cavalcata vittoriosa condotta dalle primarie del 2013 a oggi, e le riforme realizzate a dispetto della resistenza interna della minoranza - la sua parabola di leader è giunta al punto che ha rimesso in discussione in passato i destini di tutti i suoi predecessori. Come accadde a D’Alema dopo le regionali del 2000 e lo scontro con i “cacicchi” (così appunto l’ex-segretario definiva i capi e capetti locali), e a Veltroni costretto a dimettersi proprio dalla periferia del partito dopo la sconfitta alle politiche del 2008, Renzi, o riesce a conquistare anche sul territorio il Pd, o rischia di soccombere al logoramento emerso in varie forme nelle ultime settimane. Dal rifiuto di riconoscere il risultato delle primarie in Liguria, mettendo in pista Pastorino in alternativa alla Paita, alla capacità di usare le stesse consultazioni, com’è accaduto in Campania, per imporre una candidatura sgradita al leader. Per non dire del sindacato, schierato contro la riforma della scuola, che con il tema dell’assunzione dei precari doveva esercitare un peso notevole nella campagna.
Ripartire da un 4 a 3, che vedrebbe cantare vittoria Salvini in Veneto e Berlusconi in Liguria e Campania, non sarebbe affatto facile per il premier. Ecco perché in questi ultimi giorni, mentre mettono le mani avanti dicendo che le regionali non c’entrano nulla con la stabilità del governo, Renzi e i renziani lavorano ventre a terra per far sì che il risultato temuto diventi almeno un 5 a 2, o addirittura un 6 a 1.