martedì 26 maggio 2015

La Stampa 26.5.15
Il dilemma degli indignados. Trattare o no con la casta
Iglesias studia un accordo coi socialisti. Rajoy: “Popolari ancora primi”
di Francesco Olivo


Posati i calici, smontati i palchi, l’ora del realismo è scattata anche per Podemos. E il realismo adesso significa patti, persino con la Casta. Il risveglio di Podemos, dopo la festa di Madrid e le lacrime di gioia di Barcellona, non è amaro, per carità, ma nemmeno così leggero. La verità è che «il cielo non si prende con l’assalto, ma con gli accordi», sintetizza un militante che esce dal quartier generale. Gli eredi degli indignados sono giovani, ma non ingenui, vengono da studi sofisticati e conoscono le regole del gioco. Il bivio era atteso, ma tra lotta e governo per districarsi serve raffinatezza: a novembre si vota per le generali e chi sbaglia paga subito.
La coda di cavallo che ha affascinato la Spagna, si muove più nervosamente. Pablo Iglesias fiuta l’aria e alterna, da buon politologo, pugni e carezze. Con il segretario socialista, Pedro Sanchez, non corre buon sangue: «Il colonnello ancora non mi ha scritto», lo sfotte. In passato sono volate bordate: «Lost in the Usa», diceva uno, «sono populisti bugiardi», rispondevano gli altri. Eppure i due avrebbero molto da dirsi, magari lasciando da parte quelle frecciate continue degli ultimi mesi. Le prime sensazioni sono buone, persino per ragioni di look: «Stamattina Pablo si è messo la camicia bianca come quella di Pedro», scherzano nello staff. L’interlocutore naturale è, infatti, il Psoe, rappresentante di quella «casta» (si chiama così all’italiana) contro la quale si è scagliata l’ira degli indignados.
Segnali di apertura
Dagli insulti in piazza, ora si passa ai tavoli delle trattative. Socialisti e Podemos, però, non hanno molte alternative: o trovano un accordo, o la festa dell’altra notte davanti al Museo Reina Sofia diventerà un boomerang, e il comune tornerà in mano ai popolari. Un suicidio politico per tutta la sinistra, che nessuno capirebbe. La candidata Manuela Carmena, sostenuta da Podemos, ma senza tessera e senza debiti di riconoscenza, è sicura: «Con il Psoe nessun problema, sarò sindaco». In Catalogna la situazione è diversa: Ada Colau, leader di Barcelona en Comú, per ottenere l’incarico deve avere il via libera da almeno due liste e non solo dai socialisti. Ma nessuno, a cominciare dai suoi avversari, dubita che ce la farà.
È stata una elezione perfetta per Podemos? Non proprio e lo stesso Iglesias lo ammette: «In alcune zone speravamo in risultati migliori, il cambio comincia dalle grandi città, è sempre così. Ma per noi è stato un inverno passato in trincea». I successi sono arrivati quando i viola non si sono presentati con il proprio logo, ma all’interno di piattaforme più ampie. Quando invece, nelle regioni, compariva il nome Podemos le gioie sono state molto rare. Non che loro siano estranei alle scelte dei candidati, anzi e ci tengono a sottolinearlo: «Il nome di Manuela Carmena me l’ha proposto il nostro compagno Jesus Montero - dice Pablo Iglesias - è stata una nostra scelta vincente. Lei è fantastica, ci ha criticato per un certo impeto giovanile e ha fatto bene».
Nuova era
Ma la nuova era degli accordi coinvolge tutti, a cominciare da Ciudadanos, il Podemos centrista, che ha avuto un risultato al di sotto delle aspettative, ma che comunque sarà decisivo in alcune regioni, come nella Comunità di Madrid. Il suo leader Albert Rivera ha smussato un po’ i toni: «In politica bisogna capirsi tra diversi», anche se tutta la sua campagna è stata incentrata sulla denuncia della corruzione, argomento delicato per i popolari.
Sono le sette di sera quando il premier Mariano Rajoy compare nella sala stampa del suo partito nella calle Genova. È appena finita una riunione con i dirigenti popolari, il tono non può essere che mesto, ma chi si aspetta dichiarazioni forti resta deluso: «Restiamo il primo partito, ma certo non abbiamo vinto. Abbiamo sbagliato a non essere vicini ai cittadini. Paghiamo le dure misure prese per risanare i bilanci». In ogni caso, la sua candidatura a premier non è in discussione: «Continuo a essere io».