domenica 24 maggio 2015

Repubblica 24.5.15
Se votasse l’Italia
di Adriano Sofri

SUONA forte la campana irlandese, e suona anche per noi. Siamo in prevalenza cattolici, noi e loro. Ora loro sono diventati i primi a decretare per voto popolare il matrimonio “fra due persone dello stesso sesso”.
NOI restiamo fra gli ultimi a negare uno straccio di riconoscimento alle coppie dello stesso sesso. Il risultato irlandese era stato annunciato, ma ha straripato, e ha offerto lo spettacolo di migliaia di espatriati che tornavano per non mancare a un voto di cui essere fieri. Avevamo appreso che fino al 1993 in Irlanda le “pratiche omosessuali” erano fuori legge. Cambia in fretta il mondo, quando cambia. I partiti erano stati più o meno freddi, ma nessuno aveva fatto campagna contro il cosiddetto matrimonio gay. La Chiesa dissentiva, per lo più senza toni oltranzisti, e ieri ha preso atto “filosoficamente” della portata della vittoria dei sì. Da noi, un articolo dell’ Avvenire alla vigilia del referendum di Dublino si concludeva con una citazione di papa Francesco: «Quando l’alleanza stabile e feconda tra un uomo e una donna è svalutata dalla società, è una perdita per tutti, soprattutto per i giovani».
I giovani irlandesi hanno votato a man bassa per quella perdita. Chi di noi non è più giovane deve ammettere che, quando lo era, avrebbe in genere trovato, prima che scandalosa, strampalata l’idea che persone dello stesso sesso si sposassero. Molti che sono giovani adesso trovano strampalata, prima che scandalosa, l’idea che si vieti a due persone che si amano di sposarsi. Gli anziani che hanno cambiato idea, e più che idea sentimenti e sensazioni, hanno seguito l’evoluzione dei tempi, come si dice, ma anche un argomento che vale per ogni tempo. C’è una differenza fra un valore perseguito per sé che si vuole imporre anche ad altri contro la loro volontà, e un valore cercato per sé che non tocca la libertà degli altri. Rifiutare per sé un modo di finire la vita che si sente insopportabile per il dolore, la menomazione e l’umiliazione non può pretendere di costringere altri alla stessa scelta. Al contrario, imporre l’idratazione forzata per legge a ciascuno contro la sua consapevole e libera decisione è una violenza. Nel caso del matrimonio, nessuno è costretto a qualcosa che ne violi la libera volontà. E chi creda al matrimonio come un sacramento valido solo per la coppia di donna e uomo, resta libero di celebrarlo e viverlo, e non ha una vera ragione di sentirlo offeso dal fatto che altri abbiano scelto di dichiararsi ed essere riconosciuti sposati. È la differenza, ed è enorme.
Il governo irlandese si è detto ieri fiero di un segnale di uguaglianza indirizzato a tutto il mondo. Da qualche parte arroventata del mondo i gay vengono trascinati all’ultimo piano dei palazzi e scaraventati giù per dare spettacolo di castigo divino. Dopo di che, c’è davvero un problema, altrettanto enorme. Credo che un referendum popolare darebbe anche in Italia, sul matrimonio omosessuale come su altri temi “sensibili”, a partire dall’eutanasia, un risultato irlandese. Probabilità che induce alla tentazione di dichiarare senz’altro la “società civile” italiana, cioè di dichiararci, “più avanzati” della Chiesa cattolica (la quale è a sua volta, meno opacamente di prima, attraversata da differenze e divisioni). Ma per farlo dobbiamo mettere in una categoria diversa dai “diritti civili” il sentimento e il trattamento nei confronti degli stranieri della parte povera e disgraziata del mondo. Ho molti dubbi (è un eufemismo) sul risultato che avrebbe un referendum popolare su questo tema. Sul quale, al contrario, non solo le parole del papa Francesco, ma l’azione di una cospicua parte della Chiesa cattolica è enormemente “più avanzata”.
Questo è il problema logico e morale più stringente. La soluzione di compromesso sembrerebbe quella di stare con il papa sui migranti, contro sul matrimonio fra persone dello stesso sesso, con la libertà ultima di ciascuna donna sull’aborto, e così via. Forse non esistono soluzioni che non siano di compromesso. Il limite insuperabile a ogni (inevitabile) relativismo c’è, e sta nell’insegnamento a fare di ciascuno un fine e non un mezzo.
Secondo portavoce autorevoli dell’ortodossia cattolica la rivendicazione del matrimonio omosessuale è fondata sulla “tutela dei diritti della coppia”, che si sforzano — invano, credo — di dimostrare fallace. Ma un gran numero di persone desiderano sposarsi perché sono innamorate e ricambiate. La “tutela dei diritti della coppia” si può assicurare senza matrimonio — tranne che in Italia finora. A qualunque sesso e sessualità si appartenga (io non penso che il sesso si riduca alla condizione culturale) si è favorevoli — cioè non ci si oppone — al matrimonio fra due persone perché si riconosce la bellezza e la serietà del loro reciproco desiderio. Ma il matrimonio, obiettano ancora, dipende dalla sua “naturale” destinazione generativa, inibita per sempre alla coppia omosessuale: se così fosse, daremmo per fallito e maledetto il matrimonio eterosessuale infecondo. Si può essere disorientati e spaventati per come cambia il mondo, per una terra di figli unici per legge o per economia, per gli azzardi della sperimentazione sugli embrioni. Ma perché opporsi, dire il proprio no, a persone che con vocazioni o scelte sessuali diverse chiedano di realizzare desideri così simili?