domenica 24 maggio 2015

La Stampa 24.5.15
Fintan O’Toole, scrittore, storico, saggista
“Ora siamo un Paese normale. La Chiesa non è più la guida sulle questioni morali”
intervista di A. Riz.

«È bello oggi essere irlandesi, siamo orgogliosi». Fintan O’Toole, scrittore, storico, saggista, uno dei massimi intellettuali e osservatori del Paese, non potrebbe essere più felice. «Gli irlandesi hanno fatto una dichiarazione d’intenti su quello che vogliono essere nel mondo: una società aperta, tollerante, umana». Non è sorpreso dal risultato, dice. «Quello che sorprende è la misura della vittoria. Uno degli aspetti più significativi è che non c’è stata una grande divisione sociale o geografica, tra città e campagna, come solitamente accade in questi casi. Questo fa capire che c’è un’accettazione del tema che va ben al di là della classe urbana medio-alta».
Come spiega il cambiamento?
«Non si può ignorare che il declino della Chiesa Cattolica abbia contribuito molto. Oggi la maggior parte degli irlandesi non si fa più guidare dalla Chiesa sulle questioni morali. Questo ha molto a che fare con lo scandalo degli abusi sessuali».
È per questo che la campagna della Chiesa è stata meno enfatica che nel passato?
«È vero, sono stati attenti. L’opposizione era chiara ma il linguaggio misurato. Da una parte credo che molti prelati siano sinceramente dispiaciuti per come la Chiesa ha trattato i gay nei secoli; dall’altra una linea troppo dura poteva essere controproducente. Inoltre molti ai vertici sapevano che avrebbero perso, tanto valeva farlo con grazia. Ma ci sono anche altri fattori che spiegano il risultato».
Ad esempio?
«La società irlandese è sempre stata intima, è piccola, tutti si conoscono. Questo ha reso l’Irlanda un posto terribile per i gay, ci si impicciava, si facevano pettegolezzi, e molti nascondevano la propria sessualità. Ma oggi vediamo il rovescio della medaglia. I gay che si sono confidati con amici, vicini sono visti come parte della famiglia, del gruppo. L’intimità da forza negativa è diventata positiva».
Il prossimo passo sarà l’aborto (oggi consentito solo in caso di rischio di vita della madre)?
«Indubbiamente l’aborto tornerà in agenda nei prossimi quattro, cinque anni, probabilmente ci sarà un altro referendum, è inevitabile perché la situazione attuale non funziona. Chiunque sia al governo avrà la consapevolezza, dopo il voto di venerdì, che la società è cambiata».
Quali altri temi sociali in agenda?
«La Chiesa controlla circa il 90% del sistema educativo. Finora ha potuto dire che rifletteva il punto di vista della stragrande maggioranza, ma oggi è chiaro che non è più così. Allora la questione diventa: come contenere la tradizione religiosa – che deve essere rispettata, nessuno vuole minare il diritto delle persone alla propria religione – all’interno di una società variegata, laica, pluralista?».
Che messaggio parte da Dublino al resto d’Europa?
«Chi si oppone al cambiamento ha sempre detto che quello dei diritti dei gay era il tema di un’élite. Il referendum ha mostrato che non è così. Sono tornate a votare persone da ogni parte del mondo, si sono registrati giovani disillusi dalla politica. Questo è un tema che rinvigorisce la democrazia: non ha a che vedere solo con l’Irlanda, o con i gay, è il tema dell’uguaglianza che appassiona. Abbiamo ridefinito la normalità, è questo il messaggio del voto: quello che consideriamo normale nel 21esimo secolo è cambiato, è tempo che i politici tengano il passo».
Festeggerà?
«Certo. Mio figlio lavora in Svizzera, lui e la sua ragazza sono tornati per votare. Si respira un sentimento di felicità, senza amarezze o trionfalismi. Molte famiglie si sono riunite. Che ironia: i conservatori parlano di attacco alla famiglia, ma per noi è una grande celebrazione della famiglia».