sabato 23 maggio 2015

Repubblica 23.5.15
La questione morale e la trincea della Campania
Nessuno, neppure Renzi, può permettersi di trascurare una terra spinosa ma cruciale per il voto
di Stefano Folli


FORSE non è la Campania la regionechiave del 2015, quella che deciderà chi ha vinto e chi ha perso le elezioni del 31 maggio. Questo profilo sembra adattarsi meglio alla Liguria, regione «rossa» in bilico come ancora un paio di mesi fa era impensabile. Eppure la Campania all’improvviso è diventata centrale negli intrecci preelettorali. Segno che nessuno è davvero sicuro di se stesso e dei propri voti; e quindi nessuno può permettersi di trascurare una terra spinosa, contraddittoria, ma destinata a contare molto nel bilancio finale del voto.
All’inizio Renzi aveva pensato di tenersi un po’ distante da De Luca, candidato anomalo e controverso, tanto popolare quanto a rischio di immediata decadenza in base alla legge Severino. Ma le circostanze lo hanno indotto a cambiare idea. Non è tempo di regali al centrodestra e peraltro sarebbe paradossale la vittoria di uomo del Pd contro il presidente-segretario, una vittoria ottenuta senza che il leader del partito e del governo abbia messo piede a Napoli. Renzi ha compiuto l’unica scelta possibile in base a un calcolo di «realpolitik». Lo ha fatto quindi senza riserve verso il personaggio e certi nomi che affollano le liste del centrosinistra, mettendo nel conto qualche attacco sulla «questione morale» da parte dei settori di opinione pubblica comunque diffidenti nei suoi confronti.
L’unica misura di prudenza adottata dal premier è stata di presentarsi in Campania il giorno dopo l’approvazione della legge sulla corruzione e non il giorno prima. Qualche giorno dopo il «sì» del Parlamento alle misure contro i reati ambientali e non qualche giorno prima. Per il resto, la battaglia a favore di De Luca è combattuta senza esclusione di colpi. E «nessuno venga a darmi lezioni di legalità», sottolinea Renzi, consapevole che è da quel fronte che possono nascere le polemiche. Ma in campagna elettorale non si può andare troppo per il sottile. Perché alla fine il voto avrà un peso nazionale, come è sempre accaduto in occasioni analoghe. D’Alema nel 2000 arrivò a dimettersi da presidente del Consiglio. In quell’occasione la regione che fece la differenza, provocando la frana, fu il Lazio dove vinse a sorpresa Storace di Alleanza Nazionale. Adesso non c’è alcuna possibilità che ai primi di giugno si apra una crisi di governo, ma il premier si ritroverà senz’altro più debole se i conti non tornano.
Ecco perché la contabilità avverrà in base al numero di regioni vinte, non solo sulla base delle percentuali raccolte da ogni singolo partito. Si può capire: il voto è frastagliato e poco omogeneo sul territorio. Sette regioni non sono poche, ma rappresentano solo una porzione del totale. E poi si voterà anche in numerosi comuni piccoli e grandi. Ricavare dai risultati una lezione inequivocabile sul piano nazionale non sarà semplice. Quindi il criterio più logico rimanda al numero di regioni vinte. Renzi non può permettersi di lasciare indietro quelle in bilico (appunto Campania e Liguria), ma nemmeno il Veneto dove i sondaggi sono sfavorevoli alla Moretti. Con il paradosso che proprio la Moretti, la più debole, è invece la candidata più in sintonia con Renzi, al di là delle scelte del passato.
Gli altri due, De Luca a Napoli e Raffaella Paita a Genova, sono esponenti di un partito che non è quello che il presidente del Consiglio vuole costruire intorno a sé. Sono candidati subiti, come nel caso dell’ex sindaco di Salerno; ovvero figli di un errore di calcolo, come nel caso della Paita. Entrambi devono convivere con una forte ripresa dei Cinque Stelle, un dato che deve preoccupare Renzi. In fondo la stagione del premier era cominciata con la promessa di ridimensionare l’anti-politica, lasciata lievitare in precedenza da Bersani. Se invece la tendenza si inverte, molti problemi si complicheranno. Quanto a Berlusconi, è evidente che non riesce più a tenere insieme i tasselli del mosaico. Può tentare di limitare i danni, come sta facendo senza nemmeno troppa determinazione. Dopo il 31 maggio si volterà pagina nel centrodestra, anche se nessuno sa con certezza cosa potrà accadere.