Repubblica 21.5.15
Bus vietato ai palestinesi l’apartheid di Netanyahu costretto a fare dietrofront
Il governo voleva la separazione dai lavoratori israeliani. Accuse di razzismo, stop del premier ma il ministro-falco ci riproverà
di Fabio Scuto
GERUSALEMME Inseguito dalle critiche del suo stesso partito, del capo dello Stato Reuven Rivlin, dell’opposizione che denunciava una deriva razzista, il premier Benjamin Netanyahu è stato costretto ieri a bloccare il primo provvedimento del nuovo governo. Concepito dal fedelissimo ministro della Difesa Moshe Yaalon, avrebbe vietato per tre mesi ai pendolari palestinesi in Israele di usare i mezzi pubblici e li avrebbe obbligati ad usare solo quattro check-point per entrare e uscire dalla Cisgiordania. Annunciato in mattinata, il decreto provvisorio è stato poi ritirato poco dopo mezzogiorno quando l’ufficio del premier è stato bersagliato di telefonate di esponenti politici — anche del Likud — che definivano il provvedimento «inaccettabile » e dichiarazioni dell’opposizione che bollavano la decisione come «miserabile», degna dell’apartheid sudafricano. Un simile piano «è una macchia sul volto del nostro Stato», ha dichiarato alla tv il laburista Isaac Herzog, capo dell’opposizione, che ha parlato anche di umiliazioni non necessarie inflitte ai lavoratori palestinesi.
Netanyahu, allarmato da un vistoso titolo di Haaretz online che parlava di apartheid — ha deciso di bloccare subito l’iniziativa. Con una breve dichiarazione il premier ha bollato come «inaccettabile» il piano, come se fosse stato all’oscuro della decisione del suo ministro della Difesa. Il presidente Reuven Rivlin ha applaudito alla decisione. Rivlin — che rappresenta l’ala liberale del Likud — ha definito «la separazione di linee di trasporto per arabi ed ebrei inimmaginabile ». Un concetto del genere, ha aggiunto, «contrasta con le stesse fondamenta dello Stato d’Israele». Parole condivise anche da un altro esponente “liberale” del Likud, Dan Meridor e dall’ex ministro degli Interni Gideon Saar. Soddisfatto anche il Procuratore generale Yehuda Weinstein, secondo il quale il progetto si prestava a ricorsi alla Corte Suprema già annunciati da “Peace Now” e altre Ong che difendono i diritti umani. Sono 92.000 i palestinesi che hanno un impiego in Israele, legale o illegale; 52.000 hanno un permesso di lavoro, gli altri entrano clandestinamente. La gran parte viene impiegata nell’edilizia, con un salario inferiore a quello israeliano.
Il “piano Yaalon” non è qualcosa deciso in fretta, giaceva da tempo nei cassetti del ministro della Difesa, che ha deciso di avviarlo, dopo che il Consiglio dei coloni — assai influente nel nuovo governo — aveva dichiarato che i passeggeri ebrei temono per la propria vita quando si trovano a bordo dei bus con i pendolari palestinesi. Al centro delle polemiche c’è la linea 86 che collega Tel Aviv alla città-colonia di Ariel, in Cisgiordania. In origine era stata istituita a beneficio dei coloni, col tempo un numero crescente di manovali palestinesi impiegati in Israele ha scoperto che utilizzandola risparmiava tempo prezioso nel ritorno a casa in Cisgiordania, e anche soldi. A quel punto però i passeggeri israeliani, sentendosi a disagio perché spesso minoranza fra palestinesi, hanno fatto pressioni politiche sul ministero della Difesa perché trovasse una soluzione.
Il progetto del ministro Yaalon — che si ripropone di presentarlo più avanti — impone ai palestinesi, oltre ai bus “speciali”, di far ritorno in Cisgiordania soltanto attraverso 4 checkpoint autorizzati allungando i tempi di spostamento dei pendolari di almeno due ore.
La questione bus non è entrata nel colloquio avuto ieri da Netanyahu con l’Alto rappresentante per la politica estera europea Federica Mogherini a cui il premier israeliano ha dichiarato di «sostenere una visione di due Stati per due popoli, una Palestina demilitarizzata che riconosca lo Stato ebraico».