Repubblica 1.5.15
Serena Sorrentino, segreteria confederale della Cgil
“Il Jobs Act non crea posti servono investimenti pubblici e patrimoniale sui più ricchi”
In realtà, è lo stesso governo a non vedere alcun impatto positivo della riforma sul mercato del lavoro
intervista di Roberto Mania
ROMA. «Se l’obiettivo del Jobs Act era quello di stabilizzare e ampliare l’occupazione, si può dire che non è stato raggiunto», dice Serena Sorrentino, segreteria confederale della Cgil, classe 1978, napoletana, sindacalista da sempre. A 23 anni segretaria della Camera del lavoro di Napoli, nel 2010 al vertice nazionale, prima con Guglielmo Epifani poi con Susanna Camusso che — si dice — la consideri la sua delfina. Oggi è “il ministro del lavoro” della Cgil.
Sorrentino, non è un po’ presto per fare un bilancio della riforma del lavoro?
«Ma è lo stesso governo nel Def, il Documento di economica e finanza, a non vedere alcun impatto positivo della riforma sul mercato del lavoro: nel prossimo triennio secondo le stime del governo la disoccupazione scenderà intorno all’11 per cento e il tasso di occupazione resterà sotto il 60 per cento. Ci sarà molto turnover, si assisterà ad una accelerazione del tasso di sostituzione dai contratti più precari al nuovo contratto a tutele crescenti».
Anche questo, tuttavia, era uno degli obiettivi della riforma.
«È la strategia ad essere sbagliata. L’Italia ha una crisi da domanda aggregata. In questi casi serve una mobilitazione degli investimenti per far ripartire la produzione, i consumi e quindi aumentare la base occupazionale nei settori innovativi quelli che possono generare altro lavoro. Servono politiche attive per il lavoro per incrociare domanda e offerta di lavoro puntando a qualificare quest’ultima».
Lei propone di far ripartire gli investimenti pubblici, ma dove si trovano le risorse?
«Si possono utilizzare diversamente le risorse della Cassa depositi e prestiti, si possono indirizzare i Fondi pensionistici complementari a investire nelle imprese che abbiano piani di sviluppo per l’innovazione e l’occupazione. Ci sono i Fondi strutturali europei. Sono le tre gambe di una politica industriale che sceglie di competere sulla fascia alta della produzione».
La Cgil ha rinunciato alla proposta della patrimoniale?
«No. Proponiamo l’introduzione di una patrimoniale sulle grandi ricchezze anche per ripristinare il principio di progressività nella tassazione visto che oggi il carico fiscale è sostenuto in prevalenza da chi ha un reddito fisso».
Quanti miliardi pensate di ricavare dalla patrimoniale?
«Si possono recuperare 10 miliardi l’anno ».
Tassando quali patrimoni?
«Proponiamo di tassare con un’aliquota progressiva i redditi eccedenti i 350 mila euro al netto della prima casa. Riguarderebbe il 5 per cento delle famiglie italiane ultraricche». Il governo ha scelto un’altra strada. Ha incentivato dal punto di vista fiscale e contributivo le assunzioni a tempo indeterminato. Perché secondo lei le imprese non stanno assumendo?
«Le imprese stanno sostituendo manodopera. Il governo ha introdotto gli incentivi, tra l’altro pagati dalla fiscalità generale cioè da tutti noi, senza condizioni».
Lei a cosa li avrebbe condizionati?
«All’aumento dell’occupazione. È sbagliata un’operazione di liquidità di tale portata senza alcuna selettività. Le imprese possono assumere pagando meno, possono licenziare senza vincoli, possono demansionare i lavoratori: questo è davvero il cambiamento del paradigma del nostro diritto del lavoro. Non era mai successo che si rafforzasse così proprio la parte che è già più forte nel rapporto di lavoro ».
Dice il ministro Poletti che comunque ci sono anche segnali positivi, tra i quali il prevedibile ritorno al lavoro dei cassintegrati visto il calo del ricorso alla cassa. Condivide questa lettura?
«No. Sta calando il ricorso alla cassa integrazione in deroga semplicemente perché non è stata rifinanziata».