venerdì 1 maggio 2015

Repubblica 1.5.15
Leonardo
L’autoritratto dalle molte vite
di Guido Ceronetti


E il mondo cieco non saprà di quante vite era il germe ascoso in te, Niccolò Tommaseo
Leonardo forse, nella immagine interiore di sé in qualsiasi luogo e momento, vide se stesso come la Luce del Verbo

A TORINO, dal 24 aprile al 2 giugno, è esposto nel Palazzo Madama, in una sala allestita a parte, un talismano straordinario. Non primitivo, anzi rinascimentale; creato dalle mani di un uomo unico, a sanguigna: l’autoritratto di Leonardo conservato fuori del Tempo nella Biblioteca Reale della città, dove molti anni fa per la prima volta lo vidi. Talismano perché protettivo della collettività che lo ospita, per l’incalcolabile profondità della sua emanazione. Nelle altre sale ci sono opere di artisti, tra l’egregio e il mediocre, in quella soltanto l’autoritratto-talismano irradia luce e placamento del dolore sul mondo.
Il colore a sanguigna, dopo cinquecento anni, ormai non lo vedi che nei miliardi di cartoline che trovi nelle tabaccherie di tutti i continenti, ma di fronte a quella cornicetta che limita la figura impallidita ti getteresti in ginocchio.
Nelle ultime pagine di On the Road di Kerouac compare un vecchio (che nella storia narrata non sembra affatto entrarci) che dice-passa-scompare; e dice così: — Va’, e piangi per l’uomo — al ragazzo che ha tanto viaggiato e tanta gente incontrato. Quel vecchio è lo sguardo dell’Autoritratto, che piange senza lacrime, che contempla avvolgendosi a tutto ciò che è animato e soffre. Leonardo forse, specchiandosi nell’immagine interiore di sé in qualsiasi luogo e momento del mondo, vide se stesso come la Luce del Verbo che la Tenebra lambisce senza poterla ghermire, il Verbo Soffrente delle visioni gnostiche. L’ omo sanza lettere, che affida alla pittura muta la sua verità parlante, aveva molti fini che oltrepassavano la stessa pittura amata ed esaltatissima, con tutta la sua rivelazione simbolica. Che cosa cercava, frugando incessantemente nei corpi morti che si procurava per le sue dissezioni? Le prove di qualche segno superstite — un punto che riteniamo introvabile nella disfazione carnale — dell’anima volata via? Con quanta delusione di non averla trovata, che in quel volto infinitamente malinconico possiamo vedere iscritta?