Repubblica 3.5.15
L’Ocse: in Italia la disoccupazione di lunga durata allarga il divario tra poveri e ricchi
Sulla pressione fiscale incidono soprattutto i contributi pensionistici meno le imposte sul reddito
di Luisa Grion
ROMA . Il «limbo», in Italia, dura troppo a lungo e lascia il segno.
Chi perde il lavoro rischia di passare mesi, se non anni, in attesa di nuova occupazione.
Colpa della crisi, certo, ma anche di una formazione e di una cultura del ricollocamento che non funzionano. Ce lo dice l’Ocse che ci piazza al quarto posto della sua classifica sulla disoccupazione di lunga durata, quella che dura da oltre un anno. Il dato è riferito all’ultimo trimestre del 2013, ma nulla fa pensare che nel frattempo le cose siano cambiate. In Italia la percentuale di disoccupati che, a dodici mesi dalla perdita del posto risulta ancora tale, era salita, nel periodo in questione, al 58,6 per cento: prima che scoppiasse la crisi, negli ultimi mesi del 2007 era ferma al 45,7 per cento. Peggio di noi fa l’Irlanda, al terzo posto (passata dal 28,9 al 62 per cento); la Grecia (dal 49,4 al 70,9 per cento) e la Slovacchia, che detiene il primato della disoccupazione, ma sembra aver imboccato una lunga strada verso il miglioramento (è scesa al 71,9 dal 73,6 degli ultimi tre mesi del 2007). La palma del paese Ocse più virtuoso va invece alla Corea del Sud, dove la percentuale è praticamente inesistente: lo 0,1 per cento.
Tornando al caso italiano è chiaro che la disoccupazione di lungo periodo incide molto anche sui redditi delle famiglie.
Ecco quindi spiegato in parte il divario fra «ricchi e poveri» che il dossier Ocse360 definisce «notevole». Il reddito medio familiare netto disponibile corretto procapite è di 24.724 dollari l’anno, più alto della media Ocse di 23.938 dollari, spiega lo studio, «ma il 20 per cento più ricco della popolazione guadagna quasi sei volte in più rispetto al 20 per cento più povero». In contemporanea si è ridotto il margine di risparmio sul reddito disponibile (3,6 per cento nel 2012 contro il 10 del 2006) e il debito delle famiglie, sempre sul reddito disponibile, ha toccato il 94,2 per cento, contro il 60 del 2000. Per chi lo paga, il fisco non aiuta: il gettito (nel 2011) risultava doppio alla media dei paesi. Voce prevalente quella dei contributi per la previdenza sociale (31,2 per cento sul totale).