Repubblica 18.5.15
“Così debolezze e paure minacciano la democrazia”
Al Lingotto confronto tra Zygmunt Bauman ed Ezio Mauro sulla transizione difficile che l’Occidente sta vivendo
di Simonetta Fiori
TORINO TRADIMENTO . Vulnerabilità. Rottura di un patto. Tre parole chiave per penetrare il «tempo indecifrabile dell’interregno », quello in cui siamo immersi, «sospesi tra il non più e il non ancora ». È la società del disordine babelico, dove anche le parole rischiano di essere impotenti. Ma c’è ancora chi continua a riporre fiducia nel discorso pubblico. Ed è lunghissima la fila al Salone davanti alla sala gialla per ascoltare Zygmunt Bauman ed Ezio Mauro, autori di un dialogo pubblicato da Laterza con il titolo di Babel.
Paura e solitudine politica sono oggi sentimenti diffusi, frutto del cattivo funzionamento della democrazia. Ed è qui la prima percezione di tradimento. «La crisi sta erodendo tutta l’impalcatura materiale, istituzionale, intellettuale della costruzione democratica che l’Occidente s’è dato nella tregua del dopoguerra », dice Mauro rispondendo alle domande di Concita De Gregorio. «Oggi dubitiamo della democrazia perché non è più in grado di proteggerci nel nostro vivere insieme». La certezza è stata sostituita dalla flessibilità. «Gli Stati moderni», condivide Bauman, «non sono più capaci di garantire ai cittadini un posto nella comunità». Non riescono più a dare sicurezza, dove la parola un tempo significava saldezza sociale, mentre oggi si traduce solo in controllo.
Il tempo dell’interregno è anche quello in cui «si libera l’irrazionale della decadenza », dice Mauro, la stagione delle «figure sciamaniche che coltivano le paure per risolverle in una grande banalizzazione ». Evoca una immagine di Bobbio: «La politica è stata inventata per attardarsi a sciogliere i nodi della contemporaneità, mentre il populismo promette di tagliare quei nodi con la spada ». Ma il tradimento non riguarda solo la politica. Coinvolge anche i rapporti tra datori di lavoro e forza lavoro, «un tempo protetti da una forte dipendenza e reciprocità», spiega Bauman. «Chi entrava alla Fiat o alla Pirelli sapeva che in quell’azienda avrebbe costruito la sua vita di lavoratore. Oggi non è più così. Con un semplice clic, capitale e produzione possono essere trasferiti altrove. E organizzazioni come il sindacato rischiano di perdere di senso. La dipendenza non è più reciproca ma unilaterale ». Con conseguenze disastrose. «Da fabbriche di solidarietà siamo passati a fabbriche fondate sul sospetto e sulla competizione. E una nuova filosofia manageriale traduce la paura dei lavoratori in obbedienza». Ma c’è una via di uscita dall’inferno babelico? «Mi ribello, dunque siamo!», risponde Bauman citando Camus. «Il nostro non è un libro apocalittico», dice il direttore di Repubblica. «Non l’avremmo scritto se non nutrissimo una fiducia testarda nell’opinione pubblica».