domenica 17 maggio 2015

Repubblica 17.5.15
Charles Pollock una vita all’ombra del fratello Jackson
di Paolo Russo


IL MARATONETA e lo sprinter. Il saggio pensatore, l’outsider di buon talento morto ottantaseienne, e il giovane sciamano posseduto, arso dal disumano dono che lo inghiotte, dopo averlo subito scagliato nel cielo della fama, alla metà degli anni dell’altro. Fu un rapporto complesso d’affetti e scambi intellettuali quello fra le personalità di Charles Pollock, il maggiore dei cinque figli della famiglia d’arte messa al mondo da LeRoy e Stella fra 1902 e 1912, e Jackson, il più piccolo. E, come presto scopriranno gli altri, il più tragicamente dotato e bisognoso di protezione.
Specie da se stesso. Una storia affascinante, che la retrospettiva (fino al 14 settembre) alla Guggenheim di Venezia, ben curata dal suo direttore Philip Rylands, svela con ampiezza di scoperte e intrecci. Un bene, perché è vicenda in parte ancora da scrivere quella che estrae Charles – e in parte i fratelli Frank e Sanford, che tante volte riporterà a casa Jackson distrutto dall’alcol – da un ingiusto ma ovvio anonimato. Quello d’un astro troppo vicino al sole per esser visto. La mostra (fino al 9 novembre), affiancata dal Murale , ’43, che Jackson realizzò per la casa newyorchese di Peggy, dispone in ordine temporale cento fra tele, disegni e documenti di Charles, in gran parte mai visti e scelti nell’Archivio di Parigi curato prima dalla moglie Sylvia, oggi dalla figlia Francesca McCoy. Insieme, rarità giovanili e dipinti di Jackson, uno del fratello Sanford e diversi di Thomas Hart Benton; suo uno dei più belli, Cattle Loading (‘ 28-’29) che con brillantezza formale e narrativa consegna il suo carico di bestiame su un treno nel deserto al Regionalismo americano, col quale Charles avrà intensi rapporti nella sua militanza sociale New Deal lungo i depressi Trenta. Fu Benton il maestro di tutti loro, quello che li iniziò a Michelangelo e al disegno. Quello dal quale Charles e Frank, prima d’un romanzesco “coast to coast” Los Angeles-New York in auto, convinceranno lo svogliato studente Jackson ad andare a studiare con loro, trasferendosi a casa del fratello maggiore. E sarà probabilmente lui a indurre nel cucciolo prodigio, con un altro kerouackiano viaggio nel ‘34 in tutto il sud su una Ford T, dormendo in tenda e disegnando l’amore per i nativi americani. Benton sarà per Charles anche collega: nel ‘33 lavora con lui al murale sulla storia sociale dell’Indiana per l’Esposizione universale di Chicago, attività amata che dal ‘39 al ‘42 proseguirà da solo in Michigan per la rooseveltiana Works Progress Administration. Intanto continua a viaggiare, scoprire nuovi amori (la cartellonistica, l’arte della stampa, il disegno satirico, docenza universitaria e calligrafia) e confermarne di vecchi. Come quello per i muralisti messicani e il Messico. Dopo un ultimo pellegrinaggio nel deserto d’Arizona, 1945, avvia il distacco dalla figurazione. Nel ‘56, per telefono gli arriva la morte di Jackson. Il colpo è ferale ma decisivo. A Charles, mai geloso di Jackson, la sua morte giunge come un segnale che il tempo è maturo. E volta pagina, lentamente. Via fra gli altri Barnett Newman e Anthony Caro, entra per sempre nel mondo nuovo dell’astrazione con la mente chiara e tante ben distillate esperienze. Fra ‘59 e ‘62 i primi collage in b/n, poi l’Europa. Si ferma a Roma, dove nasce la serie omonima e conosce Dorazio, Turcato, Arman. Perso nel ‘63 anche Sanford, torna a insegnare in Michigan con nuovi vivaci colori negli occhi. Le mostre si susseguono, il suo rasserenato color field ha successo e finisce esposto con Motherwell e Rothko. Nel ‘71 con la famiglia se ne va a Parigi. Una vecchiaia alacre, serena e ricca di soddisfazioni lo accompagna fino alla fine. Charles Pollock muore l’8 maggio 1988.