Repubblica 16.5.15
“La religione è solo un pretesto per chi si sente fuori dal gruppo”
di Caterina Pasoilini
ROMA . «Aggredire a 12 anni una ragazzina per motivi religiosi? È possibile, ma nel senso che la croce, la fede diversa, molto probabilmente sono diventati per il bambino senegalese il tratto comune che univa i compagni di classe, il simbolo del gruppo dal quale si sentiva rifiutato, escluso». Massimo Ammaniti, psichiatra, psicologo dell’età evolutiva, è cauto nel valutare la storia di Terni. Lui che da decenni studia la difficoltà di crescere, invita alla prudenza.
La croce come simbolo del nemico?
«Più che il nemico, penso che possa rappresentare il mondo nuovo che l’alunno non capisce, non conosce perché lontano dalle sue radici, un universo dal quale si sente tenuto a distanza, separato. Un mondo diverso che rifiuta forse perché si sente rifiutato lui per primo. Succede a quell’età, i gruppi sono forti, chiusi».
La religione come pretesto?
«Accade, come dimostra un fatto raccontato recentemente dal New York Times. Un ragazzino di origine musulmana che si sentiva escluso e preso in giro dai compagni, esasperato ha gridato: Io sono di Al Qaeda. Ovviamente non lo era né aveva una famiglia di terroristi, ma quello era l’unico modo che aveva trovato per ribadire la sua identità».
Ma qui c’è stata anche violenza fisica.
«Ci sono spesso casi di bullismo nelle scuole medie, sono però più spesso i gruppi che prendono di mira il singolo, il diverso, il più debole facendone oggetto di scherno. Potrebbe essere accaduto che il ragazzino si sia sentito preso in giro, non capendo la lingua, oppure sia stato tenuto in disparte. E quel gesto contro la bambina, lo abbia vissuto come un modo di riaffermare la sua identità».
Botte per affermare la propria identità?
«I maschi, a qualsiasi età, non sopportano di essere esclusi, derisi. Non tollerano di sentirsi feriti, deboli. Non lo ammettono e non lo vogliono fare vedere, per un maschio è gravissimo mostrarsi vulnerabile e così reagisce aggredendo».
Le femmine sono più capaci di inserirsi?
«Sì, sono più adattabili, più capaci di trovare compromessi, di mediare, di capire cosa prova o pensa chi sta davanti a loro, e questo aiuta nei rapporti sociali».
Troppi conflitti a scuola?
«I problemi di inserimento nelle scuole si moltiplicano, anche perché a quell’età spesso si detesta quello che non si conosce, ciò che si teme. Troppo spesso i bambini fanno gruppi, escludono, o litigano con altri ragazzini solo perché non sanno nulla di loro, non sanno leggere i loro comportamenti, i reali sentimenti dietro la facciata».
Cosa si dovrebbe fare?
«I docenti dovrebbero a inizio anno fare una sorta di carta di identità in cui ogni studente si racconta, sino a formare un grande tabellone con le loro storie. Dovrebbero aiutare i bambini a capire il punto di vista dell’altro, a comprendere che dietro un comportamento da sbruffone c’è spesso un timido. Capire il punto di vista, le difficoltà degli altri renderebbe i rapporti profondi e migliori, stemperando aggressività e violenza». Partendo dalla scuola, arrivando nella società.