venerdì 15 maggio 2015

Repubblica 15.5.15
Bontà
Ormone dell’amore e antidepressivi se basta una pillola per essere generosi
L’ultima frontiera della ricerca sono i farmaci che agiscono sul cervello e modificano la percezione del bene e del male
Ma già sollevano dubbi etici
di Elena Dusi


ESE bastasse un bombardamento di ossitocina a far finire tutte le guerre? Una dose quotidiana di farmaci antiserotoninergici a renderci meno aggressivi? O un’infanzia accompagnata dal Ritalin per capire che lo sfruttamento delle risorse ambientali ci porterà all’autodistruzione? Forse, per il bene dell’umanità, sarebbe il caso di mettere da parte ogni scrupolo e provare, dicono i sostenitori del “potenziamento morale”. Se da sempre infatti esiste il doping sportivo e da qualche anno le “smart drugs” promettono di migliorare memoria e concentrazione, ora si affacciano sul proscenio della medicina (e della filosofia) anche i farmaci che agiscono sul cervello modificando la nostra percezione del bene e del male.
L’ossitocina, soprannominata l’ormone dell’amore (o delle mamme), che aumenta l’empatia e induce a fidarsi degli altri. I farmaci antiserotoninergici, che vengono usati contro la depressione ma hanno anche l’effetto di ridurre l’aggressività e aumentare la cooperazione. Pillole che più in generale aumentano la concentrazione come il Ritalin, che già oggi vengono usate ben oltre le necessità mediche. E stimolazioni magnetiche che, indirizzate in aree precise (dietro l’orecchio destro), ci fanno sembrare accettabili comportamenti immorali come far cadere la propria fidanzata dal ponte. La neuroscienza ha scoperto negli ultimi anni di avere nel cassetto tecniche e farmaci capaci di cambiare le regole del gioco che tengono insieme la società umana. Quanto queste sostanze siano efficaci è difficile da dire, perché le sperimentazioni dirette a cambiare il nostro senso morale sono delicate da condurre. Ma filosofia e bioetica hanno già cominciato a interrogarsi sulla legittimità delle pratiche di “potenziamento morale”.
«Ammesso che questi strumenti funzionino, sarebbe giusto applicarli in nome di tratti e valori apprezzati universalmente come la tolleranza, il rispetto dei diversi o la responsabilità nei confronti delle generazioni future?» sintetizza Massimo Reichlin, che insegna Filosofia morale all’Università Vita- Salute San Raffaele di Milano. Insieme ai più importanti esperti del settore, Reichlin ne parlerà stamattina al congresso della Società di neuroetica di Padova. A confrontarsi saranno due idee opposte. Quella di John Harris dell’università di Manchester, secondo cui è ben difficile che il potenziamento morale possa tradursi in un progetto coerente ed è prioritario che l’uomo conservi la libertà di scegliere. E quella di Ingmar Persson dell’università di Oxford, autore nel 2012 insieme a Julian Savulescu del controverso libro “Unfit for the future”: “Inadatti al futuro”.
Citando i casi della corsa al nucleare, del riscaldamento climatico e in generale dei grandi poteri che scienza e tecnologia ci hanno messo in mano, Savulescu e Persson scrivono che “l’evoluzione non ci ha fatto sviluppare una psicologia in grado di gestire i dilemmi morali che i nuovi poteri comportano”. La nostra specie oggi è diventata inadeguata ad affrontare problemi potenzialmente distruttivi. Solo con un potenziamento morale adeguato alle sue grandi abilità cognitive l’uomo potrà sopravvivere a catastrofi come quella ambientale o nucleare.
«Secondo questa tesi — spiega Reichlin — l’umanità non avrebbe abbastanza senso di responsabilità per sopravvivere. Ci siamo evoluti dando più importanza al benessere nel breve termine e ai membri del nostro gruppo. La politica non è interessata a ragionare in termini di lungo periodo. E pensare che l’educazione, la persuasione e il processo democratico possano risolvere problemi così impellenti è ingenuo. Secondo questi autori, l’unica possibilità, se vogliamo sopravvivere, sarebbe dunque il potenziamento morale ». Ma una somministrazione di massa di pillole della bontà, sostiene il fronte opposto, non farebbe che comprimere il nostro spazio di libertà. «Gli uomini — prosegue Reichlin — finirebbero con l’essere obbligati a essere morali. Verrebbero manipolati in modo che non possano mai compiere la scelta sbagliata ».