venerdì 15 maggio 2015

Repubblica 15.5.15
La tentazione di Berlusconi “Tornare al tavolo con Renzi dobbiamo evitare le urne ora siamo troppo deboli”
Dopo le regionali il Cavaliere non vuole che le riforme saltino
I contatti di Verdini per dar vita ad un gruppo di “responsabili”
di Tommaso Ciriaco


ROMA «Io non posso prendere schiaffi da Salvini e farmi trattare da pensionato. Così mi ride dietro mezza Italia. Dopo le Regionali torno al tavolo con Renzi, che ha bisogno dei nostri numeri. Oppure mando tutti a…». In questo dilemma si consuma Silvio Berlusconi. Assente dalla scena, costretto a ripararsi dietro a un antipiretico per ritardare la missione in Puglia. Terrorizzato dalla disfatta, dopo l’umiliante 4% raccolto in Trentino Alto Adige che è però servito a prendere atto della realtà: «Se facciamo opposizione, la Lega e i grillini ci svuotano». Meglio allora pianificare un clamoroso dietrofront, proponendo alla maggioranza un soccorso azzurro sulla riforma del Senato. Uno stratagemma per uscire dall’isolamento e allontanare le urne fino al 2017. «Votare oggi sarebbe un disastro». L’alternativa, così ripete sempre più spesso l’ex Cavaliere, è una ritiro dorato ad Antigua.
Tra le quattro mura di Arcore va in scena il prologo di quanto potrebbe verificarsi il primo giugno, a urne chiuse. L’allarme scatta a colazione. «Smettetela di insistere - si innervosisce Silvio Berlusconi, al telefono con i big del cerchio magico - io in Puglia non ci vado». I fedelissimi sudano freddo. La campagna elettorale è appena iniziata e la defezione somiglierebbe a una resa anticipata. A Bari, intanto, lo attendono solo poche decine di militanti. Un mezzo flop. Giovanni Toti e Deborah Bergamini, Maria Rosaria Rossi e Antonio Tajani si consultano. Il summit improvvisato con iMessage partorisce una soluzione. Meglio, una toppa: «Ha la febbre, tutto dipende dall’antipiretico». Serve a prendere tempo. Nel frattempo gli avversari si scatenano e mettono in dubbio l’influenza fuori stagione: «Forse sono finiti i bei tempi in cui affollava le piazze?». Inizia un pressing asfissiante. «Presidente, così si mostra debole», ripetono, «penseranno che ha già mollato». Alla fine Berlusconi cede, ma è solo una tregua. Ormai ha capito di essersi infilato in un vicolo cieco.
Il primo campanello d’allarme era suonato lo scorso week end, con il tonfo in Trentino. Il secondo poco dopo, quando Salvini ha invitato l’ex premier a godersi la pensione. «E voi - chiede il leader - riuscite a immaginare cosa dirà dopo le Regionali? ». E in effetti se il centrodestra conquistasse solo il Veneto con Luca Zaia, i toni del segretario padano si farebbero ancora più aggressivi. Il terzo indizio l’ex Cavaliere lo apprende dai giornali. “Verdini tratta con Fitto”. Certo, il leader dei frondisti nega convergenze - «ho grande rispetto per Denis, ma lui punta a dialogare con l'area renziana», ma è ormai chiaro che i due ribelli, sia pure da posizioni politiche distanti, potrebbero colpire e affondare il capo, sfilandogli metà dei gruppi parlamentari. E se anche alla fine fosse solo Verdini a sostenere il ddl Boschi, l’effetto per l’ex premier sarebbe devastante. Non a caso, il piano vagliato in queste ore da Berlusconi è lo stesso dell’ex coordinatore: offrire a Renzi il bottino di voti di FI, garantire il via libera alla riforma costituzionale ed evitare la fine traumatica della legislatura.
Esiste un ostacolo di non poco conto, a ben guardare. Non è detto che il premier sia disponibile a sedere di nuovo al tavolo con l’uomo di Arcore. Luca Lotti, che da sempre tratta i dossier più spinosi, non offre sponda ai big del cerchio magico che cercano di rintracciarlo. E Verdini spiega in privato il perché: «Con Luca il rapporto è quotidiano. Se FI vuole trattare con Renzi, deve passare da me». Se Berlusconi non dovesse accettare, si ritroverebbe con una scissione ordita dal garante azzurro del patto del Nazareno. «Dovessi lasciare il partito – è la linea di Verdini - andrei nel Misto o in un gruppo autonomo». Difficile invece che ceda alla corte dell’ala meridionale di Ncd e ai centristi dell’Udc, che continuano a proporre all’azzurro un “matrimonio” filorenziano.
Nelle prossime settimane, comunque, il capo di FI non potrà mostrarsi interessato a ricucire con Palazzo Chigi. Non prima, almeno, del voto regionale. Il vero scoglio, ora, è dribblare il nemico interno, quel Fitto che continua a metterne in discussione la leadership: «Berlusconi rappresenta oggi una politica vecchia e superata - si sgola il capo del frondisti - noi guardiamo a Cameron». L’anziano leader controbatte colpo su colpo, bocciando il progetto del ribelle: «Fitto chi? Faccia come crede, comunque, perché il centrodestra non è diviso - dice all’ Ansama esistono alcune frange eterogenee che si sono messe insieme per una piccola operazione legata a vecchie logiche notabilari, senza speranza e senza senso politico». «Gli faremo vedere chi siamo!», la replica. Sullo sfondo, ma solo per adesso, resta la tentazione dell’addio. Dal Milan alle aziende, non mancano i segnali di una exit strategy. E anche i suoi ragionamenti non nascondono le crepe: «Chi sarà il leader? È presto per dirlo - ammette a sera, mettendo finalmente piede in Puglia - i leader creati a tavolino non hanno mai funzionato. L’ultima parola spetterà ai cittadini».