Repubblica 12.5.15
Il Partito della Nazione da Gramsci a Renzi
di Massimo L. Salvadori
NON cessano le voci di coloro ai quali sorride l’idea che il Pd renziano diventi né più né meno che il “Partito della Nazione”. Naturalmente tanto per gli avversari esterni del Pd quanto per le correnti di minoranza al suo interno e per i vendoliani questa identificazione scatena una violenta allergia, poiché per gli uni esprime la brama di pigliare tutto, per gli altri il disegno del premier di snaturare il Pd spostandone decisamente il baricentro dalla sinistra al centro. Pochi giorni or sono la ministra Boschi, che è una donna capace, intelligente e tenace — come dimostrato dal modo in cui ha condotto in porto la barca dell’Italicum — ha controbattuto alle minoranze del suo partito che a lanciare sulla scena del dibattito politico la definizione di Partito della Nazione è stata «una delle menti più lucide della sinistra». Certo, a prima vista l’etichetta si presenta bella, quasi commovente: implica l’esortazione a porre in cima a tutto la ricerca del bene del paese, nessuno escluso, chiama ad assumersi la più alta delle responsabilità. Quale male dunque se uno specifico partito, il Pd, intende presentarsi nelle vesti di Partito della Nazione? Devo dire di considerare questo un indirizzo sbagliato, una sconcertante ingenuità ideologica, un errore da cui Renzi dovrebbe tenersi a distanza di sicurezza. Nel clima intorbidito della politica italiana — caratterizzata dalla presenza di una molteplicità di partiti che fanno mestiere di una conflittualità miseranda dentro e fuori di sé, sono preda di robusti tarli roditori, vedono i propri leader contestarsi reciprocamente e malamente; colpita ogni giorno dalle bombarde dei populismi; invelenita dai contrasti in tema di riforme istituzionali e costituzionali — l’invito al Pd a farsi esso coraggiosamente e orgogliosamente carico dei destini complessivi del Paese indossando i panni di Partito della Nazione può apparire una ventata di aria fresca. Sennonché occorre ragionare, avvalendosi di qualche riflessione sulla storia italiana, su ciò che in quell’invito non funziona. In tutti i momenti di più grave crisi dello Stato unitario, quando i contrasti tra i partiti politici superarono una certa soglia, si è fatta avanti l’idea che, contro la divisività negativa e inconcludente, spettasse ad un soggetto privilegiato assumere l’onere e l’onore di rigenerare il paese come, appunto, “Partito della Nazione”. Fu il caso sia del partito, stretto intorno alla monarchia, che nella crisi di fine Ottocento Sonnino invocò contro i rossi e i neri; sia del partito fascista che nel primo dopoguerra si propose di unire il popolo intorno a sé, potando i rami secchi. Vi era in questi nemici della sinistra la convinzione di poter essi soli rappresentare il bene dell’Italia.
Ma anche a sinistra si è nutrita una analoga ambizione. Si leggano le Tesi di Lione del 1926 stese da Gramsci e Togliatti, e si vedrà che lo scopo additato al Partito comunista era fondare lo Stato del futuro, anche in questo caso tagliando i rami secchi, avendo in mano le chiavi per unire intorno a sé tutte le forze sane del popolo. Dopo la caduta del fascismo, Togliatti teorizzò senza posa che la missione storica del Partito comunista era strappare dalle mani della borghesia la bandiera del vero progresso della nazione, di cui esso rivendicava di essere l’unico interprete, assumendo — affermò — «una funzione di guida in tutti i campi della vita politica e sociale».
Ecco comparire ancora una volta il soggetto preposto a compiere la rinascita nazionale. Con lo scorrere del tempo toccò a Veltroni esaltare in tale veste l’Ulivo italiano, addirittura concepito quale modello per l’universo mondo. Cara ministra Boschi, non scambi il vino vecchio per vino nuovo. L’uscita della lucida mente della sinistra che invoca “il Partito della Nazione” capace di assumere su di sé la croce dei mali del Paese e di farlo risorgere non è aria fresca ma l’ultimo eco di una consunta retorica. Chi scrive non pensa affatto che il Pd renziano sia affetto dalla sindrome dittatoriale che gli attribuiscono i suoi avversari. Ma sarebbe davvero bene che esso si tenesse alla larga dal cedere alla sirena di voler presentarsi come Partito della Nazione: anche tenendo nel debito conto che quel nome è stato una volta per tutte malamente confiscato dal Partito Nazionale Fascista. Nel concetto di Partito della Nazione è di fatto implicita una pretesa totalizzante, boriosa, inopportuna e dannosa. I precedenti non sono di buon auspicio. I sistemi liberaldemocratici riconoscono unicamente “partiti nella nazione”. Il Pd aspiri ad essere una attiva forza riformatrice all’altezza delle sfide che è chiamata ad affrontare. Non indossi i panni di chi guarda i suoi competitori dall’alto di un salvifico primato; e non ambisca a fare gli interessi di tutti, poiché le società moderne sono la scena dell’inevitabile scontro dei diversi interessi politici e sociali. Non inalberi una bandiera di parole e lasci perdere la vacua, altisonante etichetta di “Partito della Nazione”.