domenica 10 maggio 2015

Repubblica 10.5.15
Hanif Kureishi
Per lo scrittore la strada del premier conservatore è tutta in salita
“Gli ideali di sinistra resistono in Scozia Cameron ha vinto ma per lui sarà dura”
“Lo Scottish National Party rafforzato dalla vittoria premerà per l’indipendenza ed è probabile che la otterrà
Del Regno Unito odierno potrebbe restare solo l’Inghilterra, che forse non starà più nella Ue”
di Enrico Franceschini

LONDRA . «È stata la vittoria del capitalismo sullo Stato, ma David Cameron potrebbe pagarla a caro prezzo, con l’indipendenza della Scozia e il rischio di portare la Gran Bretagna fuori dall’Europa ». È l’opinione di Hanif Kureishi, 61enne scrittore, drammaturgo e sceneggiatore inglese di origine pachistana, autore del film My beatiful laundrette e del romanzo Il Budda delle periferie, uno degli osservatori più acuti dei cambiamenti sociali di questo Paese nell’ultimo quarto di secolo.
Signor Kureishi, come giudica il risultato delle elezioni?
«Un disastro, uno shock, perlomeno per quelli come me: significa la sconfitta di tutto quello che amo di questo Paese. Forse le mie idee sono vecchie e non vanno più di moda, ma io credevo e credo nello Stato, nel suo dovere di intervenire per migliorare la vita dei cittadini, credo nel servizio sanitario pubblico nazionale, nell’istruzione gratuita, nella Bbc, una radiotelevisione di Stato gratuita che secondo me resta una delle migliori istituzioni britanniche».
E invece cosa ha prevalso?
«Con la vittoria di Cameron ha prevalso lo spirito di un capitalismo che mira a restringere lo Stato, anziché difenderlo o ampliarlo, un capitalismo che continuerà a privatizzare, a dare il potere alle corporation, a inchinarsi a un editore come Rupert Murdoch. Avremo un Paese sempre più diviso in ricchi e poveri, ma forse ciò è quello che voleva la maggior parte della gente, anzi sicuramente è quello che la gente voleva, poiché Cameron ha vinto nettamente».
Forse c’è anche una responsabilità del partito laburista?
«Forse sì, molti ora dicono che in Gran Bretagna puoi vincere le elezioni solo conquistando il centro dell’elettorato, come fece Blair, ma il centro si è spostato più a destra in questi anni. Ed Miliband non è davvero un socialista vecchio stampo come qualcuno vuole descriverlo: è semplicemente un po’ più a sinistra di Blair, il che non ne fa però un rivoluzionario».
Cosa dovrebbe fare il Labour, ora, secondo lei?
«Francamente è un dilemma difficile da risolvere. Se si sposta al centro, di nuovo sulle posizioni di Blair, dovrà rinunciare sempre di più ai propri ideali e programmi. Ma se si sposta a sinistra, o rimane su posizioni comunque più di sinistra, a quanto pare è condannato a perdere un’elezione dopo l’altra. Non saprei cosa suggerire al partito».
Eppure c’è un partito in Gran Bretagna che esprime ideali e programmi di sinistra, più di sinistra rispetto a quelli del Labour di Blair e anche rispetto a quello di Miliband, e stravince: lo Scottish National Party. Cos’hanno gli scozzesi: sono diversi dagli inglesi?
«La Scozia non ha mai goduto i frutti del capitalismo inglese. Ne è stata tenuta storicamente ai margini, sfruttata e anche snobbata dai leader di Londra, certamente dai leader conservatori. E questo ha finito per radicalizzarla, per plasmare in modo differente le aspirazioni dei suoi cittadini, che sono per la maggior parte effettivamente più di sinistra che gli inglesi, più attaccati all’idea dello Stato, del welfare, della solidarietà sociale».
E invece gli inglesi di oggi come sono?
«Sono profondamente diversi da trent’anni fa. La nostra classe operaia, il nostro proletariato, non è più orgoglioso di sentirsi classe operaia e proletariato, anzi vive queste etichette quasi come un’onta. Ha aspirazioni di elevazione sociale, di arricchirsi, di sentirsi come minimo classe media. La Thatcher capì questa aspirazione, provò a rispondervi privatizzando, esortando la gente a fare soldi, premiando l’individualismo. Blair ha continuato sulla stessa onda, e anche lui ha saputo connettersi con questa nuova classe sociale, che ricca non è, magari non è nemmeno classe media, ma aspira a sentirsi tale. E Blair ci riuscì perché non era neanche lui un vero laburista, non sentiva personalmente alcun legame con la classe operaia e il proletariato: preferiva di gran lunga la compagnia dei ricchi, come abbiamo visto dalle sue amicizie».
Cosa prevede per il futuro della Gran Bretagna uscita da questo voto?
«Prevedo problemi, e spero naturalmente di sbagliarmi. La Scozia continuerà a premere per l’indipendenza, rafforzata dalla vittoria elettorale, ed è sempre più probabile che la otterrà. A quel punto non si può escludere che il Galles, un’altra regione che non ha condiviso i frutti del capitalismo inglese o meglio londinese, voglia a sua volta l’indipendenza. E in Irlanda del Nord crescerà il desiderio di riunificazione con il resto dell’isola, con la repubblica irlandese. Del Regno Unito odierno potrebbe restare solo l’Inghilterra. Con il rischio, nel referendum che Cameron ha promesso per il 2017, di non fare più nemmeno parte dell’Unione Europea. Credo che Cameron abbia davanti a sé anni difficili: ha la maggioranza assoluta in parlamento senza bisogno di formare una coalizione come aveva fatto nella passata legislatura, ma ha una maggioranza di un pugno di voti: sarà ostaggio della destra dei Tories, eurofobica e nazionalista, insomma non avrà vita facile. Potrebbe perfino rimpiangere di avere vinto queste elezioni».