Repubblica 10.5.15
Londra e il Pd
di Paolo Gentiloni
CARO direttore, “se mettete gli elettori di fronte a una scelta tra una destra tradizionale e una sinistra tradizionale il risultato sarà tradizionale: vince la destra”. Letta oggi, questa frase di Tony Blair ha il sapore di una profezia.
Vale la pena di interrogarsi sulle ragioni della sconfitta del Labour. Certo, valgono motivi contingenti, primo fra tutti la valanga indipendentista scozzese. Ma la sconfitta costringe a ragionare su ciò che era apparso negli ultimi anni quasi un luogo comune a sinistra. Parlo della necessità di andare oltre la “terza via” e i modelli europei e americani ad essa collegati degli anni ‘90. In base a questo luogo comune i britannici hanno superato il New Labour e scelto, sia pure a fatica, Ed Miliband e non il fratello Dave. La terza via era figlia delle illusioni seguite alla caduta del Muro di Berlino e il sostegno di Blair all’avventura irachena l’ha sepolta per sempre.
Oggi forse scopriamo che le cose non stanno così. E che da quella esperienza molto resta da imparare per un partito come il Pd. Certo l’Iraq fu un errore che non si cancella, anche perché Blair non lo ha mai riconosciuto davvero. Il fervore interventista non l’ha mai abbandonato, e la sinistra britannica non glielo perdonerà. Ma quella scelta non può cancellare l’unica fisionomia vincente della sinistra negli ultimi venti anni. Guai ai vincitori, visto che incomprensibilmente sono stati oggetto di una damnatio memoriae a sinistra.
È vero, la terza via era figlia di una stagione di ottimismo e crescita come gli anni ‘90. Ma la stagione presente richiederebbe un tasso di riforme ancora maggiore, non certo minore. Gli assi strategici dell’esperienza del New Labour restano infatti di straordinaria attualità. La leadership, innanzitutto. Conquistata da un outsider contro l’apparato tradizionale. Capace di comunicare direttamente con gli elettori ma anche — e qui penso ai guai del mio partito, il Pd — capace di esibire una formidabile compattezza organizzativa.
L’idea di conquistare gli elettori della parte avversa, non di demonizzarli. La consapevolezza del fatto che le moderne democrazie rischiano di essere travolte per la loro mancanza di efficacia, la difficoltà a decidere. Un’idea di società basata sulla lotta alle ingiustizie e sulla valorizzazione della persona. Senza alcuna illusione di contrapporre all’ideologia della Thatcher (la società non esiste) una ideologia di tipo opposto, ossia la negazione dell’individuo. L’inclusione della sicurezza tra i valori che la sinistra deve far propri in difesa dei ceti più deboli. La sinistra come apertura contrapposta alla destra simbolo di chiusura. Sono le idee con le quali la sinistra ha vinto e cambiato la società.
Di fronte alla crisi si è guardato altrove. Ma non nel senso di una politica più espansiva e keynesiana. No, spesso semplicemente a un ritorno all’antico. A un recupero più o meno velato di statalismo. Non ha funzionato. Non si tratta allora di riaprire un dibattito storico sulla figura di Blair ma di tornare a guardare a una sinistra liberale e di governo e di adattare quella visione ai giorni nostri per uscire dall’incubo di una sinistra destinata alla nostalgia e alla minoranza.
Ministro degli Affari esteri