La Stampa 9.5.15
Renzi-D’Alema, bordate nel Pd
L’ex premier: “Non mi preoccupa solo chi esce come Civati, ma chi imbarchiamo” Il premier: “Sei nostalgico del 25%”. E su Miliband: si perde se si va troppo a sinistra
di Carlo Bertini
Usa la vittoria di Cameron, che chiama al telefono per complimentarsi, per lanciare il segnale che più gli preme alla vigilia di sfide elettorali dove bisogna fare il pieno a largo raggio. «Quando la sinistra rinuncia al riformismo e gioca la carta dell’estremismo può vincere qualche congresso ma perde le elezioni», dice Matteo Renzi per spiegare ad una platea sensibile come quella genovese che la «sinistra masochista preferisce perdere da sola che vincere insieme». Dunque un doppio affondo, prima a Firenze contro gli ex leader che non hanno fatto le riforme al tempo giusto, del lavoro e istituzionali; e poi a Genova, contro una sinistra nostalgica di quando il Pd non superava il 25%: Renzi rievoca la rottamazione, cui allude attaccando in senso lato i suoi predecessori e una sinistra che non cavalca il cambiamento. È una polemica che entra nel vivo dello scontro maturato in queste settimane dentro il Pd sulle riforme, una polemica che tocca il nervo sensibile di chi deve scegliere se stare dalla parte del Pd renziano oppure no. «Bisogna mandare in vacanza i professionisti del “non ce la faremo mai”: sono 20 anni che hanno l’egemonia culturale!».
Lo scontro a distanza
E si consuma infatti uno scontro a distanza con Massimo D’Alema, che da Pisa aveva lanciato bordate pesanti sul Pd che «ha perso 100 mila iscritti» e sull’Italicum che «è una legge di destra». Bordate che il premier non incassa in silenzio. Ingaggiando una polemica durissima proprio nel teatro di una contesa elettorale che si consumerà nel campo della sinistra, quella Liguria messa a rischio dai frondisti, dalle liste del candidato civatiano Luca Pastorino, concorrente della Paita. Che il premier difende, attaccando quelli come Cofferati e Civati che lasciano il partito quando perdono. «Non si tratta solo di Civati. Mi preoccupano quelli che se ne vanno, ma anche quelli che vengono», attacca sferzante D’Alema. Forse riferendosi anche agli imbarcati nelle liste campane che scuotono il Pd. L’ex premier liquida «l’arroganza che fa perdere consensi» e bolla l’Italicum come una legge che relega il coinvolgimento dei cittadini come «contorno al protagonismo del leader».
Renzi contrattacca prendendosela con i suoi predecessori in senso lato, «se la riforma del lavoro si fosse fatta nel 2004, come in Germania, adesso avremmo una situazione occupazionale diversa. Se la legge elettorale fosse stata fatta prima, sarebbe stato un segnale più forte». E poi affonda il colpo da Genova. «Qualcuno oggi dice che perdiamo iscritti: sono i nostalgici del 25%, quelli che stavano bene quando si perdeva, quelli che hanno avuto la loro occasione e l’hanno persa». Per chiudere con un appello ai militanti a non farsi incantare dalle sirene di una sinistra barricadera, «questa terra non deve limitarsi a essere oggetto di un ricatto politico, il tentativo di una minoranza di impedire alla sinistra di essere maggioranza».
Temi caldi e consenso
Il premier è costretto a saltare da un teatro di voto all’altro, passa anche per Aosta, dove richiama le regioni al principio di solidarietà per gestire l’emergenza profughi. Proprio nei giorni di campagna elettorale infatti deve gestire fronti bollenti, come immigrazione, scuola e pensioni, temi sensibilissimi sul piano del consenso. Così si spiegano gli sforzi dei suoi colonnelli che cercano una mediazione sulla «Buona Scuola»: entro fine maggio andrà votata alla Camera, con un accordo che riesca ad accontentare tutti.