La Stampa 8.5.15
Ayelet, la super-soldatessa che guarda oltre Netanyahu
Il nuovo ministro della Giustizia guida la linea dura anti-palestinese
di Maurizio Molinari
Nei Golani Ayelet Shaked è stata nel corpo d’élite dei Golani Nonostante il suo nome (cerbiatta) è diventata istruttore di commando Dopo la carriera militare si è laureata in ingegneria
Istruttore di commando e ingegnere hi-tech, laica e fondatrice di un partito nazionalreligioso, per gli insediamenti e contro i terroristi: Ayelet Shaked, 39 anni, è il nuovo ministro della Giustizia di Israele, volto di spicco di una destra che guarda al dopo-Netanyahu. Sul suo nome è avvenuta l’ultima trattativa che ha portato alla nascita del Netanyahu IV. Naftali Bennett, leader del partito «Bayt HaYehudi» (Casa Ebraica), ha esitato a entrare nella coalizione per strappare al premier l’avallo a Shaked alla Giustizia. Il motivo per cui il premier non voleva Ayelet è lo stesso per cui Bennett l’ha imposta: è il volto più brillante e popolare di una nuova destra che va oltre il nazionalismo laico del Likud e l’ortodossia dei partiti religiosi.
La carriera nell’esercito
Shaked nasce nel 1976 a Bavli, uno dei quartieri più laici e progressisti di Tel Aviv Nord. Dove la maggioranza dei resistenti è ashkenazita mentre la sua famiglia viene dall’Iraq. La madre insegna Bibbia, il padre è un tradizionalista e a casa non si parla di politica ma quando, a 8 anni, vede in tv il duello elettorale fra Shimon Peres e Yitzhak Shamir si sente d’istinto vicina al leader del Likud. «Ho scelto in quel momento da che parte stare» ricorda, spiegando che per «destra» intende «amare il mio Paese». Quando si arruola va nei «Golani», i commando che rischiano di più, e ne diventa istruttore. Lasciata la divisa si laurea in ingegneria informatica, andando a lavorare per Texas Instruments, e per marito sceglie un pilota di caccia, con cui ha avuto due figli. Entra nel Likud, dove grinta e curriculum la fanno entrare nel team dei consiglieri di Netanyahu, già premier. È qui che incontra Bennett, con cui nel 2010 fonda il movimento «My Israel» e nel 2012 il partito «Bayt Hayehudì». Li accomuna la volontà di dare voce alla «Start Up Nation» dell’hi-tech, alle famiglie degli insediamenti in Giudea e Samaria - la West Bank dei palestinesi - ai religiosi che ne hanno abbastanza dei partiti ortodossi e ai nazionalisti in cerca di nuove idee e sfide. A distinguerla sono posizioni tutte d’attacco: contro i clandestini africani «minaccia per l’economia», contro la radio dell’esercito «che fa propaganda di sinistra», contro il «machismo» per i diritti delle donne e contro i terroristi «da braccare ovunque».
Lo scontro con Erdogan
È scettica sulla soluzione dei due Stati ma crede nella convivenza con i palestinesi, vuole definire Israele «Stato ebraico» non ritenendolo in contrasto con l’identità democratica. Idee forti, look avvenente e ostilità per i compromessi ne fanno una star per i media. Il leader turco Erdogan nel 2014 le si scaglia contro accusandola di «perseguire il terrorismo di Stato» a causa di un post su Facebook risalente al 2002 ed è Netanyahu a difenderla da «accuse antisemite». Come ministro della Giustizia avrà un palcoscenico di prim’ordine per rafforzare una destra che considera Netanyahu il leader del Likud più a sinistra di sempre.