La Stampa 4.5.15
Renzi contestato alla festa Pd
“Non mi spavento per tre fischi”
Tensione a Bologna con i precari. “Ma sulla scuola abbiamo messo tre miliardi e faremo centomila assunzioni”
Sulle riforme apre alla minoranza “non barricadera”
di Carlo Bertini
Quando tutto è finito, prima di infilarsi in auto, camicia sbottonata e giacca blu, Matteo Renzi ha lo sguardo del combattente uscito vittorioso dall’arena più complicata che ha dovuto affrontare da quando è premier. Il corpo a corpo con i precari della scuola proprio alla festa dell’Unità non è stato una passeggiata, ma sul premier ha avuto l’effetto di un tonico. «Bello, è andata bene. All’inizio erano partiti che non volevano farmi parlare, ma sono andato avanti e a poco a poco si sono azzittiti». È stata dura, sembrava potessero sovrastarlo urla e improperi del drappello di precari arrabbiati, incalzati a loro volta dalle grida di chi voleva ascoltare il comizio in pace. Ma poi strillando più forte e aiutandosi con qualche battuta Renzi è riuscito a gestire le tensioni. «E le cose gliele ho dette tutte, abbiamo messo 3 miliardi sulla scuola, assumiamo 100 mila precari, è chiaro che chi urla sono quelli che resteranno fuori». Un’ora prima l’odore della battaglia è nell’aria, «si sono nascosti» dicono quelli del servizio d’ordine e tra polemiche per il mancato invito a Bersani e lo scontro con la sinistra sulla fiducia, il clima non è da classica festa tortellini e pacche sulle spalle.
Fuori sputano e lanciano uova ai poliziotti i ragazzi dei centri sociali che sfilano impotenti davanti le grate del parco della Montagnola, reso fortino inaccessibile in piena città da cordoni di forze dell’ordine in tenuta anti-sommossa. Il popolo Pd arriva alla spicciolata, il primo che si fa vedere è Gianni Cuperlo, che però si becca le bacchettate di anziani compagni emiliani che pure lo avevano votato alle primarie. «Ma sulla legge elettorale hanno avuto tutto quello che chiedevano, il 40% per il premio, insomma tutto e ora non gli sta più bene. Si vergognino», esplode Fiorenzo da Forlì, figlia disoccupata e tanta acredine addosso. Ma è proprio scandendo dal palco che «qui Gianni si deve sentire a casa sua, io e lui abbiamo idee bislacche su come rilanciare L’Unità», inteso come giornale e forse come partito, che Renzi apre a quella sinistra meno barricadera che invece di votargli contro preferisce astenersi con toni sempre soft. Del resto, al militante che lo carica all’arrivo, «schiaccia la testa agli elefanti del partito, non mollare», il premier non dà soddisfazione. «Non mollo, ma non schiaccio la testa a nessuno». E non è un caso se lancia un solo segnale sull’Italicum, «per poter cambiare ho messo la fiducia rischiando l’osso del collo», come a dire io non galleggio per tenere la poltrona. Cerca di ricucire con la sinistra perché per vincere le regionali bisogna smetterla di litigare. Ma se dice «non mi spavento di tre fischi» non bara, lo scontro lo galvanizza, si vede quando ingaggia il corpo a corpo con i precari urlanti. Va avanti imperterrito, sgancia battute, prova a blandire i precari, elencando tutti i professori in famiglia, dai suoceri alla moglie, cita la sua maestra Eda, staffetta partigiana, che gli ha insegnato il valore della libertà. Ma giù fischi dei contestatori. Usa come metafora Dorando Petri, maratoneta che «rinunciò a una grande impresa a un passo dal traguardo. Non faremo la sua fine, non ci fermeranno!». Allude all’Italicum certo, ma già guarda avanti al nodo della scuola, «daremo più soldi alla scuola pubblica. Se passa la riforma entreranno 100 mila insegnanti, altrimenti continuerete a fischiare. Vogliamo discutere chi assumiamo o del ruolo dei presidi? Facciamolo. Potete fischiare ma non mi fermerete», è questo il refrain.
Del partito parla poco e della sua minoranza affatto, «il Pd discute e si divide ma si riconosce come comunità». Annuncia però sotto il mega schermo che rimanda immagini di Togliatti, che alla prossima festa di Milano in estate «troverete L’Unità in edicola». Ma non svela se sia vero che abbia chiesto proprio a Cuperlo di fare il direttore. Prima di salire in auto si ferma a parlare con i precari. Di una riforma su cui è più morbido visto che gli insegnanti sono il bacino elettorale del Pd, «la porteremo a casa con la condivisione, non è un prendere o lasciare».