domenica 3 maggio 2015

La Stampa 3.5.15
Pensioni, dal governo norma ad hoc contro la mina della Consulta
di Ale. Bar


Nei piani di Renzi, l’intervento di oggi alla Festa de l’Unità di Bologna doveva servire ad annunciare un piano anti-povertà. La sentenza bomba della Corte costituzionale sulle pensioni probabilmente spingerà il premier a soprassedere. Domani la Commissione europea presenta le sue previsioni di primavera sui Paesi dell’area euro. E il buco nei conti pubblici provocato dalla sentenza è persino più ampio di quello finora stimato. Secondo le prime indicazioni la bocciatura della norma che bloccava la rivalutazione degli assegni sopra i 1.400 euro varrebbe circa cinque miliardi di euro. Ma le stime di Cgil e Cisl, valutate come credibili da ambienti di governo, dicono che il costo di un eventuale rimborso potrebbe superare gli otto miliardi. «La sentenza della Consulta va applicata», spiega laconico il ministro Fabio Poletti. Ma quando? Come?
Fino a quando il governo non deciderà effettivamente di erogare quei fondi, per far valere i diritti sanciti dai giudici della Corte l’unica strada è fare causa all’Inps. La platea interessata è enorme: tutti coloro che fra il 2012 e il 2013 avevano diritto a un assegno superiore a tre volte il minimo, circa 1.400 euro netti. Secondo alcune stime, il valore medio del rimborso sarebbe di 1.500 euro, probabilmente il costo che bisognerebbe sostenere fra bolli e avvocato. Se decidesse di far finta di nulla il governo ci farebbe una pessima figura, e per questo sta cercando una soluzione.
«La sentenza produce un precedente gravissimo», dice una fonte di governo che chiede di non essere citata, perché il «principio di adeguatezza» al quale si richiama la Corte potrebbe valere per qualunque intervento di finanza pubblica, che sia un taglio di spesa o il blocco di un aumento stipendiale. Per di più, fanno notare dal governo, in questa sentenza la Corte ha ignorato un principio (quello dell’equilibrio dei conti pubblici sancito dall’articolo 81 della Costituzione) che appena due mesi fa era stato richiamato dagli stessi giudici per la sentenza che aveva cancellato (ma negato i rimborsi) per quanto versato dalle aziende energetiche con la Robin tax. Il governo non può ignorare una sentenza che ritiene errata, né subirla. Ci sarà un nuovo provvedimento di legge entro l’estate, o al più tardi in autunno, che però eviti l’enorme peso dell’onere sancito dalla sentenza. Ma cosa prevederà?
Le ipotesi sono molte. Ad esempio: poiché la stessa Corte non aveva bocciato un intervento simile del governo Prodi che bloccava l’aumento delle pensioni superiori a 3.700 euro al mese, potrebbe aumentare il prelievo su queste per finanziare il rimborso. Oppure potrebbe decidere di ricalcolare le indicizzazioni sulla base di un criterio simile a quello in vigore già oggi (a scalare e per tipo di reddito) in maniera retroattiva. Dice il responsabile economia Pd Taddei: «Abbiamo bisogno di un intervento che non dia risposta solo a chi legittimamente vorrebbe essere tutelato dalla sentenza, ma della rivalutazione di tutte le pensioni». Il problema, come sempre, è il quanto.