La Stampa 30.5.15
Tre partite nel caos delle urne
di Giovanni Orsina
In un sistema politico fragile e isterico come quello italiano, le elezioni regionali hanno sempre avuto un’importanza notevole: un’occasione per misurare i rapporti di forza, valutare la popolarità del governo e la rimonta delle opposizioni, regolare i conti. Poiché da qualche anno il tasso di fragilità e isterismo del nostro sistema politico si è ulteriormente e notevolmente innalzato, il voto regionale di domani è ancora più importante del solito. Che cosa ci ha insegnato finora questa campagna elettorale, dunque, e quali sono le poste in gioco?
Questa campagna elettorale, innanzitutto, ci ha dato una dimostrazione fin troppo chiara dell’avanzato stato di decomposizione della politica italiana. Una dimostrazione che non va sottovalutata, soprattutto in vista delle sfide che il Paese dovrà affrontare nei prossimi anni nel contesto internazionale, in Europa, nella gestione dell’economia. Qualche esempio della decomposizione? C’è soltanto l’imbarazzo della scelta: un candidato leghista e uno ex leghista in Veneto; un candidato democratico e uno ex democratico in Liguria; il presidente uscente di centro sinistra ripresentato dal centro destra nelle Marche; due schieramenti di centro destra in Puglia l’un contro l’altro armati.
Fiumi di trasformismo in Campania, dove corre un candidato che, in caso sia eletto, non è chiaro se possa diventar governatore né a chi tocchi dire se può o non può.
Ciliegina avvelenata su questa torta immangiabile, la commissione parlamentare Antimafia che si mette a dar patenti di impresentabilità ai candidati. Un’iniziativa politicamente a dir poco inopportuna fin dal suo concepimento che, per i tempi e modi nei quali s’è sviluppata, si è venuta facendo sempre più grottesca; che si è intrecciata strettamente con le faide interne al Partito democratico, fino alle aspre polemiche di ieri; e che ha generato una confusione ancora maggiore e gettato ulteriore discredito sulla politica. Come se non avessimo bisogno di altro.
In questo caos si giocheranno domani per lo meno tre partite. La prima è quella di Renzi. Il Presidente del consiglio ha bisogno di conferme: ne ha bisogno perché il suo governo, com’è ben noto, è privo di una legittimazione elettorale forte; perché un settore del suo partito e dei suoi gruppi parlamentari gli è contro; perché molti che oggi sono con lui ci stanno perché vince - ma potrebbero non starci più, o starci con minor convinzione, se cominciasse a perdere. Ne ha bisogno soprattutto se vuole condurre in porto la riforma del Senato, per la quale oggi ha numeri molto stretti. Uno snodo cruciale, questo, perché senza riforma del Senato si tornerebbe a una logica proporzionalistica - con tanti cari saluti al modello del «Sindaco d’Italia» che il Presidente del consiglio caldeggia.
La seconda partita riguarda la destra. E qui la posta in gioco è perfino maggiore di quanto non lo sia a sinistra. Nel momento in cui arriveranno i risultati del voto, gli elementi da tenere sotto controllo saranno per lo meno tre. In primo luogo, si vedrà se e quanto Renzi sia riuscito a «sfondare» nell’elettorato di centro destra. L’impressione è che, malgrado ci stia certamente provando, finora non ci sia riuscito - ma vedremo. Poi bisognerà capire quanto pesa ancora Berlusconi. Se dovesse dimostrarsi che ormai pesa poco, diciamo meno del dieci per cento, potrebbe arrivare per lui quella fine politica che gli analisti, sbagliando, hanno previsto così tante volte: perché a quel punto Forza Italia non potrebbe più proporsi come elemento di aggregazione del centro destra, e prevarrebbero le spinte centrifughe. Quelle spinte potrebbero anche portare fin da subito all’esplosione dei gruppi parlamentari di Forza Italia - una manna per Renzi, soprattutto in vista della riforma del Senato. Il terzo «osservato speciale» è ovviamente Salvini. Se il leader leghista dovesse andare molto bene, e Berlusconi molto male, potrebbe tentare di proporsi lui come ricostruttore della destra italiana. Magari moderando toni e proposte.
L’ultima partita è quella che sta giocando il Movimento 5 stelle. Anzi: che non sta giocando, dato che i suoi avversari la giocano per lui come meglio non si potrebbe. I grillini fanno ben poca politica ma sembrano non perdere consensi, e la loro presenza continua a segnalare il livello insostenibile di discredito (pure auto-inflitto - si legga ancora alla voce «commissione parlamentare Antimafia») cui sono giunte la politica e le istituzioni. Da questo punto di vista il voto di domani è soltanto una tappa di una via più lunga. Al termine della quale troveremo risposta a un’altra domanda cruciale per il futuro della vita pubblica italiana: se dovesse passare la riforma del Senato e fosse ripristinato il bipolarismo, chi sarebbe l’avversario del Partito democratico? Avremmo un bipolarismo politica/antipolitica coi grillini, o un bipolarismo destra/sinistra? Da dopodomani la direzione di marcia sarà un po’ più chiara.