sabato 30 maggio 2015

La Stampa 30.5.15
L’ennesima guerra insensata
di Federico Geremicca


Ci sono due cose che, più di altre, colpiscono nella vicenda - finalmente conclusa - dei cosiddetti «impresentabili» scovati dalla Commissione Antimafia nelle liste in lizza alle prossime elezioni regionali. La prima è il numero assai ridotto dei candidati non in regola con il codice di autoregolamentazione che i partiti hanno liberamente adottato nel settembre scorso: 16 su circa 4 mila, percentuali da democrazia scandinava...
La seconda è la violentissima reazione dei vertici del Pd, una volta che l’elenco dei 16 «impresentabili» è stato reso noto. Una reazione che ha preso di mira la presidente Rosy Bindi accusata, addirittura, di utilizzare la Commissione Antimafia «per regolare conti interni» al partito.
Partiamo dalla prima questione. A fronte di notizie e campagne incessanti circa il persistere in campo di una classe politica disonesta e corrotta (circostanza, per altro, avvalorata ancora due giorni fa dall’ennesima raffica di arresti in Sicilia) il lavoro svolto dall’Antimafia illumina una realtà quantomeno in trasformazione. All’interno della solita, sterminata pletora di candidati - circa 4 mila, come dicevamo - solo in 16 (11 nelle file del centrodestra e 5 in quelle del centrosinistra) risultano esser stati inseriti in lista in violazione delle regole che gli stessi partiti si sono dati nell’autunno scorso. E’ un dato onestamente sorprendente per l’esiguità del numero di «mele marce», diciamo così, rimaste impigliate nella rete dell’Antimafia.
Non è inutile insistere su questo aspetto perché, al contrario di quanto accaduto con le aspre reazioni della prima ora, il monitoraggio della Commissione presieduta da Rosy Bindi avrebbe potuto esser esaltato dal sistema dei partiti come prova di una opera di moralizzazione avviata con buon successo. Una risposta possibile, insomma, alla martellante campagna di Grillo e Lega contro la «politica corrotta»; un argine al devastante tam tam della cosiddetta «antipolitica» (nutritasi negli ultimi giorni dello slogan, appunto, «fuori i nomi!»). L’occasione, invece, non è stata colta. Anzi: con le durissime accuse mosse al lavoro dell’Antimafia, si è trasmessa ai cittadini l’impressione di un sistema politico non solo sulla difensiva, ma permeato da un’insopportabile presunzione di «intoccabilità».
Le accuse più aspre alla Presidente dell’Antimafia - e veniamo alla seconda e certo più delicata questione - sono arrivate da esponenti del Pd, e perfino da Matteo Renzi, premier-segretario. Accuse, per esser chiari, meritevoli di immediata espulsione della Bindi dal Partito democratico, visto che le è stata contestata la violazione della Costituzione e addirittura l’uso a scopo di «vendetta interna» di un organo istituzionale (la Commissione Antimafia). Ora, non c’è dubbio che il monitoraggio effettuato da quella Commissione possa prestarsi, per molti aspetti - l’utilità del lavoro svolto, i rischi di imprecisione, i tempi in cui sono stati resi noti i risultati del monitoraggio - a obiezioni non infondate. Ma un conto è discutere del merito e altro è cercare di capovolgere la frittata, quasi che la responsabilità della presenza in qualche lista di «impresentabili» (in numero, ripetiamo, assai esiguo) sia dell’Antimafia e non dei partiti che li hanno accolti.
Inoltre, c’è qualcosa di davvero paradossale nella reazione del vertice del Pd: infatti, a fronte di centinaia e centinaia di candidati in campo, un solo iscritto al partito è rimasto impigliato nella rete dell’Antimafia (Vincenzo De Luca: per altro, per un procedimento che è ancora in corso per sua volontà, visto che ha coraggiosamente rifiutato la prescrizione); e quel candidato - De Luca, appunto - a prescindere dal lavoro della Commissione presieduta da Rosy Bindi, è da settimane al centro di polemiche in ragione di una situazione oggettivamente insostenibile (il rischio di sospensione, una volta eletto, nel rispetto di quel che prevede la legge Severino).
Parigi val bene una messa, si usa dire di fronte alla necessità di sacrifici necessari e inevitabili. Ecco: anche Vincenzo De Luca val bene una messa? Fuor di metafora: l’ex sindaco di Salerno è stato candidato alla presidenza della regione Campania perché - oltre ad essersi dimostrato un buon amministratore - ha vinto le primarie del Pd. Ciò nonostante, dal punto di vista giudiziario, è nella situazione nota da tempo: e il lavoro dell’Antimafia - per altro dovuto per legge - non l’ha aggravata. E allora: non conveniva, forse, esaltare la «pulizia» delle liste Pd invece che mettere insensatamente in campo una nuova rissa maggioranza-opposizione? E al presidente del Consiglio non sarebbe più utile - a poche ore dal voto - ricordare le molte e importanti cose fatte dal governo nella lotta alle mafie e alla corruzione, piuttosto che gettar sospetti sul lavoro e addirittura la lealtà di una figura comunque storica del suo partito?